perchè andare verso un nuovo paradigma dell'architettura
Dal ventesimo secolo abbiamo visto una progressiva soggettivazione dell’architettura, siamo passati da una architettura che seppur mostrava lo status di chi la abitava, questo molto evidente fino al rinascimento, a una architettura che esaltava chi l’aveva progettava, in un incremento esibizionistico di forme che attraggono per la loro stranezza, lo sguardo di chi transita. L’architettura via via ha perso la sua funzione originaria per diventare un prometeo costruire che sfida le leggi della statica, e impone manufatti enormi, che non possono essere scelti, come lo scegliere se ascoltare un brano musicale o appendere un quadro, ma vengono imposti nello spazio che è lo stesso spazio, condiviso con altre persone, che non hanno scelto di avere davanti alla loro vista una interpretazione nicciana, in cui il soggettivismo del super uomo si sente in diritto su tutti, di affermare la sua prepotenza e desiderio di onnipotenza sullo spazio dell’abitare umano e sulla natura, imponendo la bruttezza semplicistica di certa ottusità geometrica sulla bellezza delle forme naturali e sulla complessità dell’esistere extra umano. Cosi facendo l’architettura ha invaso la vita delle persone con la sua bruttezza, imponendo manie di controllo patologiche, che rendono patologico il vivere e l’abitare di tutti in città che sono l’emblema del caos, del non senso formale, del delirio prometeico del progettista, ma che possono contare sulla capacità di adattamento innata delle persone, passando cosi inosservate ed eludendo ogni consapevole capacità di percepire ciò che danneggia all’anima e alla mente di tutti. E’ necessario uscire dal torpore dell’abitudine di stare in spazi che creano malessere mentale e fisico, le città sono diventate una magma informe dell’espressione di interessi economico speculativi, di manufatti di progettisti narcisisti, fino a deliri di urbanizzazione controllata della natura la dove sfugge la più scontata delle ovvietà che la bellezza è nella natura e nella sua libertà, e la bruttezza nella paura schiavizzante della natura, l’architetto nel suo separarsi e sostituirsi alla natura recide l’ossigeno necessario che fa vivere le nostre anime, e questo deve finire, perché non è vivere quello che deriva dal condizionamento di una piccola parte di persone infantili ed egocentriche che come bimbi di tre anni giocano sulle nostre vite con i loro autoritarismi ipocriti travestiti da democrazie, e come ci si deve liberare dalla tirannia dei politici e dei sanitari, ci si deve liberare anche dalla tirannia edificatoria e urbanizzante basata su modelli concettuali ottusi e semplicistici.
un percorso per mettere al centro chi abita e non chi progetta
Dopo aver trascorso 20 anni sulla mia teoria: l'habit theory nelle sue più ampie sfaccettature, desidero iniziare un analisi critica su come l'ambiente e i manufatti, agiscono sull'abitare delle persone in senso positivo e negativo, e come assieme al linguaggio definiscono "il colore" della nostra anima, e costruiscono quella rappresentazione di realtà, necessaria per fare esperienza dell'esistere, che è esso stesso un opportunità per "ridefinire" il nostro essere, per quegli aspetti che possono essere variabili. La variabile fisica ambientale , nel senso di percepibile e tangibile, assieme alle "caratteristiche dell'essere" che definiamo più semplicisticamente personalità, possono influire in modo positivo o negativo, in modo "stabilizzante" o illusorio, in altre parole ho deciso che sia necessario iniziare a parlare del benessere e malessere prodotto, dall'ambiente inteso in senso fisico, ma non visto da chi costruisce, che inevitabilmente trasmette la propria soggettività, ma visto da chi abita lo spazio, visto e descritto, tradotto in parole. La psicologia scientifica fornisce molti strumenti concreti per circoscrivere la percezione abitativa fisica secondo la personalità di ognuno, così che la luce riflessa può risultare fastidiosa o generare buon umore, la penombra può generare ansia o un sentirsi protetti, innumerevoli sono gli aspetti da considerare in modo che il manufatto inizia ad adattarsi a chi lo abita e non a chi lo costruisce. Si tratta di un capovolgimento del metodo progettuale, la creatività dell'architetto viene impiegata per andare verso l'anima di chi abiterà quello spazio, e non più per mostrare la propria soggettività, esattamente il contrario di quello che fanno le archistar. Questo blog lo utilizzerò per condividere i miei appunti che trattano di un modo diverso di fare psicologia e di un modo diverso di costruire e fare architettura. Mi rendo conto che il problema principale sarà la serietà linguistica, in modo da non finire con l'offrire i soliti minestroni di parole, tipo: architettura empatica che in se è un paradosso.