Tutti voi possono fare un semplice esperimento, assumendo alcolici, gli alcolici agiscono sui recettori GABA, gli stessi su cui agiscono le benzodiazepine: cui, i medici, attribuiscono un effetto ansiolitico, ovvero ridurrebbero l’ansia, in altri termini eliminerebbero l’emozione della paura.
Quindi assumendo alcolici dovremmo notare su noi stessi la scomparsa di questa emozione negativa: la paura, ma non è così, abbiamo effetti sia eccitatori che inibitori su funzioni molto differenti fra loro: umore, ideazione, pulsione, relazione interpersonale ed emozioni.
Inizialmente l’effetto psicoattivo dell’alcool produce effetti sull’umore e non sulle emozioni negative, la maggior parte delle persone possono costatare euforia, ma in un alcuni casi può produrre malinconia, e già qui si evidenzia che l’effetto può essere soggettivo e la stessa sostanza chimica può produrre effetti sull’umore sia in senso positivo che negativo.
Aumentando il dosaggio l’effetto psicoattivo dell’alcol sembra produrre effetti ideativo-cognitivi, una persona può avere una visione ottimistica di sé, in alcune persone aumenta la propensione a parlare di più in altre a parlare di meno, questo è l’effetto ricercato da alcuni artisti per migliorare le loro performance.
Aumentando ancora il dosaggio l’effetto sembra esserci a livello delle pulsioni, alcuni possono diventare aggressivi, ha in un certo senso un effetto disinibente (quindi in questo caso attivante e non inibente come sostengono i medici ovvero che le sostanze che agiscono sul GABA abbiano azione inibente sul snc) a livello pulsionale, si può scambiare l’aumento dell’aggressività per aumento di coraggio quindi minore paura, ma non è così non è un effetto sulle emozioni ma sulle pulsioni.
In alcune persone l’alcool può favorire l’emozione della rabbia, o altre emozioni, quindi un interferenza sui recettori GABA può avere delle risposte emotive differenti a secondo dei soggetti.
Aumentando ancora il dosaggio si ha sedazione del dolore fisico, rilassamento muscolare, difficoltà nella coordinazione motoria, la prima a vedersi riguarda la produzione di linguaggio anche perché il linguaggio necessita di movimenti fini dell’apparato vocale fino ad avere un vero e proprio effetto ipnotico, che è quello che si osserva anche nei cosi detti ansiolitici, i quali favoriscono l’addormentamento.
L’uso cronico di alcol porta alla sindrome di Korsakov, ovvero demenza, come è stato accertato anche per le benzodiazepine: https://carlafoletto.wordpress.com/2015/01/19/le-benzodiazepine-causano-demenza/.
Concludendo l’azione chimica degli psicofarmaci non solo non può essere selettiva ma produce effetti che con sostanze naturali come l’alcol si avrebbero solo con un’intossicazione acuta, come per esempio la sedazione e l’effetto ipnotico.
Gli effetti di sostanze chimiche a livello del cervello coinvolgono una vasta area di funzioni psichiche che riguardano l’umore, l’ideazione, la pulsione e il sonno (funzione vitale), e non è possibile attribuire uno specifico effetto es: ansiolitico, antidepressivo, in quanto i recettori e i neurotrasmettitori su cui agiscono gli psicofarmaci, sono distribuiti su circuiti neuronali differenti che sostengono funzioni cerebrali differenti, è evidente l’intento commerciare nel definire un farmaco ansiolitico piuttosto che antidepressivo, modalità che tra l’altro crea un aspettativa e pertanto può funzionare da “placebo” a prescindere dall’effetto reale del farmaco. https://carlafoletto.wordpress.com/2015/01/18/la-soggettivita-prevale-sulla-chimica-del-cervello-ebbene-si-il-crollo-di-un-mito/
I cosi detti ansiolitici e antidepressivi in realtà sono dei sedativi o degli eccitanti, non hanno alcuna azione selettiva, producono un effetto sul cervello come lo produrrebbe una qualsiasi sostanza psicoattiva (droghe comprese) ma non possono curare nulla in quanto i processi che sono alla base delle funzioni cerebrali sono processi prevalentemente di tipo bio-fisico (circuiti neuronali su cui vi sono potenziali di azione o meno) e non processi biochimici (per esempio quelli indotti da psicofarmaci).
Le malattie si possono ereditare? Assolutamente no, al massimo si possono ereditare alcune, ma poche, caratteristiche cognitive ovvero lo stile cognitivo: propensione x la logica, la creatività, la musica, aspetti che però hanno la necessità di essere esercitati (sono presenti in potenza) per poter essere costatati nel soggetto (fenotipo).
Da quando la strumentazione scientifica si è resa più potente e sofisticata, lo studio del genoma umano sta ampliando le conoscenze umane nel campo della genetica, ma come in ogni novità scientifica, si assiste a fondamentali problemi di natura epistemologica, il genoma umano viene considerato come qualcosa di fisso (cosa che non esiste in biologia) che si trasmette all’infinito in modo immutabile, questo da luogo ai soliti pregiudizi scientifici generati da certo antropocentrismo e bisogno di controllo degli scienziati che si atteggiano con superiorità, divulgando le loro interpretazioni, ponendosi come dei “principi della scienza” che tutto sanno, nessuna spiegazione è dovuta, facendo sentire chi non è all’interno della loro comunità ignorante e pertanto obbligato a fidarsi e a credere alle interpretazioni scientifiche che loro danno.
Per quanto riguarda lo studio della genetica del cervello si conoscono i geni che permettono ai neuroni di produrre proteine che servono per la propagazione del potenziale di azione (neurotrasmettitori), ma è anche altrettanto chiaro che non sono i neuro trasmettitori ad essere responsabili delle “funzioni” del cervello, esse avvengono in virtù del circuito neuronale su cui si propaga uno stimolo neuronale, circuito che può avere diversi tipi di neurotrasmettitori, in altre parole abbiamo un sistema molto complesso di miliardi di interazioni neuronali del tipo: “eccitazione” – “inibizione” / “sinapsi chimiche” – “sinapsi elettriche” che permettono la tale emozione, la tale ideazione, il tale sentimento in relazione a: effetti interni o esterni al soggetto.
Ma quello che si sta divulgando da parte di alcuni scienziati e psichiatri, presumibilmente con il sostegno delle aziende produttrici di psicofarmaci, è che esisterebbero degli squilibri chimici dovuti a malattie mentali ereditarie che producono disagio mentale. Il che giustifica l’uso di differenti psicofarmaci contemporaneamente
Questo è assolutamente impossibile perché uno stesso neurotrasmettitore può avere un’ azione eccitatoria o inibitoria, anche sullo stesso bottone sinaptico, quindi l’attività neuronale (funzioni cerebrali e contenuto del pensiero) avviene a secondo del circuito neuronale e non a secondo del tipo di neuro trasmettitore e quindi è evidente che nessuno psichiatra è in grado, una volta che diversi psicofarmaci sono nel torrente sanguigno, di fare in modo che agiscano esattamente dove vi sarebbero i presunti squilibri chimici(causa chimica) (Kandel ed altri 2014).
Inoltre non abbiamo evidenze scientifiche (tranne in malattie di tipo neurodegenerativo per es: Parkinson dove si hanno problemi motori e non ideativi) che dimostrino come il genotipo (ciò che i genetisti starebbero mappando) produca il tale “fenotipo” ovvero espressione del tale genotipo in termini di patologia ereditaria che produca il tale disagio mentale.
Abbiamo solo statistiche generiche che parlano di probabilità di ammalarsi di schizofrenia sotto l’8% fra parenti (quindi rientra nei possibili eventi casuali) fino a un 17% nei gemelli dizigoti e 48% nei gemelli omozigoti, ma le gravidanza gemellari sono solo l’1% e quelle omozigote lo 0,25% di tutte le gravidanze, dato che pone il 48% della probabilità nei gemelli omozigoti di ammalarsi di schizofrenia negli eventi CASUALI.
E comunque parlare di probabilità (e non di certezza/causa deterministica) per esempio di ammalarsi di schizofrenia del 48% nei gemelli omozigoti non ci dice:
Inoltre dev’essere chiaro che:
Da decenni sono state dimostrate modificazioni del DNA temporanee quindi il DNA non è fisso:
(…) Si distingue l’adattamento di tipo genetico, stabile e trasmissibile da un individuo alla prole, dall’adattamento di tipo fisiologico, non ereditabile, le cui modificazioni sono reversibili e avvengono in modo relativamente veloce. (…) http://www.treccani.it/enciclopedia/adattamento_(Universo_del_Corpo)/
Da decenni è stato dimostrato che una stessa sequenza genetica può avere differenti espressioni genetiche.
Epigenetica: (…) Termine (originariamente coniato per descrivere come l’informazione genetica viene utilizzata durante lo sviluppo per produrre un organismo) oggi usato per descrivere tutte quelle modificazioni ereditabili che variano l’espressione genica pur non alterando la sequenza del DNA. Con termini più tecnici, dunque, si definiscono epigenetici quei cambiamenti che influenzano il fenotipo senza alterare il genotipo(…)
http://www.treccani.it/enciclopedia/epigenetica_(Enciclopedia-della-Scienza-e-della-Tecnica)/
Inoltre è’ stata invece ampiamente dimostrata la plasticità neuronale in relazione all’apprendimento (e alla psicoterapia), ovvero la capacità del cervello se: stimolato (dall’ambiente esterno sia di tipo relazionale che di tipo ambientale), di creare nuovi prolungamenti neuronali (per lo più dendriti) che variano le connessioni e quindi I CIRCUITI NEURONALI responsabili di tutte le funzioni mentali.
Concludendo non vi è alcuna dimostrazione scientificamente valida che “la chimica del cervello” e “la genetica” siano fattori determinanti per un disagio mentale (es ansia, depressione, angoscia) in quanto non incidono sul TIPO di ideazione (i contenuti dei pensieri) uno psicofarmaco può bloccare la possibilità di avere dei pensieri (demenza) o aumentare l’eccitabilità dei neuroni (impulsività-aggressività) ma non può “curare” modificando il contenuto dei pensieri. Solo il linguaggio e l’esercizio possono modificare i contenuti cognitivi di un soggetto (addestramento) oppure insegnare strategie per produrre un “corretto pensare-egosintonico” (psicoterapia).
E’ invece evidente l’interesse economico che giace dietro alla vendita di psicofarmaci, i quali causando dipendenza e cronicizzazione assicurano un introito costante per tutta la durata della vita del soggetto.
Assodato che gli psicofarmaci eccitanti o inibitori modificano il comportamento di una persona, ora cerchiamo di capire come modificano lo stile di una relazione. Essenzialmente abbiamo due aspetti: l’adattamento e il coping. Nella relazione se vogliamo comunicare e socializzare con l’altro ci dobbiamo adattare (empatia).
Può essere un adattamento bidirezionale (empatia reciproca) oppure unidirezionale (ci mettiamo nei panni dell’inerlocutore); ma quando ci adattiamo in direzione unidirezionale? Questo avviene quando l’altro mantiene fisso il proprio atteggiamento/comportamento, come fanno le persone che assumono psicofarmaci, in quanto sono condizionate da meccanismi bio – chimici.
Ora facciamo l’ esempio di un altro adattamento forzato non bidirezionale: se una persona ha una reattività mentale bassa (e non entro nella qualità dei suoi contenuti cognitivi che sono altra cosa, ovvero una può avere reattività alta e qualità dei contenuti bassa e viceversa) dobbiamo adattare la nostra reattività alla sua, lei non potrà mai aumentare la sua reattività perché la sua natura non lo permette.
Analogamente se una persona è sedata e ha una reattività mentale lenta, chiunque sia in relazione con lei deve rallentare la sua reattività, se il tempo di relazione è lungo, per esempio otto ore di lavoro, entra in campo un processo di abituazione, abitudine a lenta reattività mentale.
Ora facciamo un altro esempio, se siamo con una persona impulsiva/aggressiva e stiamo per così dire percorrendo la stessa strada per evitare che si comporti in modo impulsivo nei nostri confronti dobbiamo imitarla un po’ (coping), così questa persona sentendoci simile a lei non ci vivrà come un problema, se la “strada è lunga” vi sarà lo stesso fenomeno dell’abituazione comportamentale (chi va con il lupo impara ad ululare).
Analogamente una persona che assume antidepressivi sarà più impulsiva rispetto a quando non li assumeva e attorno a lei si genererà un gruppo di persone impulsive. Effetto coping.
Allora che si vede? Nelle famiglie con persone che assumono psicofarmaci ci sarà un graduale cambiamento di comportamento anche nei familiari e per propagazione anche un cambiamento nei luoghi di lavoro in relazione all’autorevolezza dei ruoli sociali che questi ricoprono, più sono autorevoli più persone influenzano.
In sintesi alla quantità/ consumo di psicofarmaci nella popolazione dobbiamo aggiungere l’effetto adattamento coping secondo uno schema propagativo amplificante, in quanto l’effetto degli psicofarmaci produce comportamenti fissi a cui gli altri devono obbligatoriamente adattarsi.
il 10% dei ragazzi prende ansiolitici e antidepressivi ….- fonte grafico La repubblica