La produzione e lo smaltimento dei rifiuti coinvolge diversi aspetti:
Le priorità in ordine d’ importanza a mio parere contemplano: al primo posto l’aspetto igienico sanitario in quanto i costi collettivi che ne deriverebbero potrebbero essere imponenti; anche l’accessibilità ai punti di raccolta è importante, per evitare comportamenti sociali individuali non desiderabili, poi raccolta, stoccaggio, riciclo, e per ultimo andrebbe a mio parere posto l’aspetto estetico che coinvolge la visibilità o meno della presenza dei rifiuti lungo le strade urbane, avvertita come antiestetica: brutta.
In alcune città la scaletta delle priorità è stata invertita, mettendo l’aspetto estetico al primo posto e quello igienico all’ultimo, è curioso constatare come questo sia avvenuto per esempio dove il sindaco era un architetto, come se la professione o il lavoro svolto dal sindaco di una città potesse influire sul buon senso e la logica decisionale.
Com’è possibile che in nome dell’estetica urbana i cittadini siano costretti a tenere le immondizie nelle proprie abitazioni per una settimana o per più tempo se nella finestra oraria settimanale (due ore) non hanno la possibilità di essere nella propria abitazione per poter spostare i propri rifiuti sulla strada, questo causa condizioni abitative anti igieniche indubbie.
Inoltre si rilevano anche condizioni anti igieniche urbane, i rifiuti sulla strada attraggono maggiormente animaletti di vario genere, e la risposta delle amministrazioni comunali è stata in termini di uccisione degli animaletti tramite esche avvelenate, ma l’animaletto avvelenato poi si sposterà assieme al veleno ingerito compromettendo un ecosistema urbano già ampiamente alterato.
Da questo si evince come una certa architettura ignori le componenti biologiche, naturali, sanitarie, psico-individuali e psicosociali, e rischiando con il proprio intervento su ipotesi estetiche di dubbia condivisione: togliere i cassonetti dei rifiuti perché sono brutti, va a complicare ampiamente la vita di tutti.
Questa è quella che si potrebbe definire “l’architettura ottusa” degli angoli retti, dei colori uniformi, delle suddivisioni geometriche che richiedono che un albero se cresce al di fuori di certa linearità venga eliminato, un architettura dove tutto ha una linearità statica e controllabile ma più vicina alla cosi detta: pulsione di morte che alla pulsione di vita.
Un’ architettura che avverte come disturbante la libertà della natura di crescere in base alle condizioni climatiche di sopravvivenza, e si rende intollerante a una natura che si permette di ignorare ortogonalità, uniformità e linearità e che pertanto va o soppressa o “rieducata”.
Ma un architettura più dinamica, vitale, e pertinente all’esistenza umana e alle sue relazioni con la natura, piuttosto che a geometrizzazioni astratte, la troviamo in Giappone, dove i manufatti abitativi si integrano con la natura e la biologia, non sempre ma quelli tradizionali della cultura scintoista di certo si.
Eppure durante le esposizioni italiane (mostre), che raccontano dell’architettura giapponese, troviamo tutti d’accordo sul fatto che la qualità abitativa è decisamente più alta, ma questo non fa modificare una certa cultura architettonica italiana dove sembra che il bisogno di controllo magari derivante da qualche fobia prevalga sull’evidenza che: vivere in rispettosa serenità con il mondo naturale è di gran lunga più semplice ed edificante.
Ritorniamo alla produzione e lo smaltimento dei rifiuti urbani;
una soluzione utopica, urbanistico architettonica, a imitazione di quella naturale potrebbe essere realizzata con una specie di rete a notevole profondità nel sottosuolo, dove i rifiuti andrebbero incontro a una serie di modificazioni biochimiche fino a essere trasformati ed emessi come sostanze energicamente riutilizzabili, o inerti, una specie di intestino della città, in altre parole una città concepita più come essere vivente che come sepolcro imbiancato. Indubbiamente questo richiederebbe molto ingegno, la capacità di riconoscere tutte le fasi biodegradabili, gli insetti che le accelerano, le sostanze da immettere che le trasformano, che le rendono più fluide ….. un equipe di ingegneri , biologi, chimici, naturisti, architetti, gli architetti dovrebbero individuare il funzionamento cittadino, quali rifiuti vengono prodotti, i comportamenti collettivi reali e i bisogni collettivi a cui dare una risposta, si passerebbe da una architettura muraria a un architettura sociale dove la consapevolezza dei comportamenti umani sostituisce l’ortogonalità e l’uniformità muraria.
Ma passando dall’utopia alla realtà i cassonetti dei rifiuti non sono più antiestetici di un automobile parcheggiata lungo le strade del centro storico, e se c’è tanta tolleranza per questi oggetti inquinanti che come scatolotti di plastica stazionano ore lungo le vie della città non vedo perché non ce ne debba essere altrettanta per i cassonetti dei rifiuti.