E’ necessario partire da una premessa per capire che la preponderanza del “principio maschile” è in realtà la vera minaccia del mondo, e non il cov2.
Il “principio fecondativo-maschile” versus quello “accrescitivo femminile” ha in sintesi le seguenti caratteristiche:
Il sapere che meglio supporta il “principio fecondativo maschile” è individuabile, oltre che nel “sapere militare-addestramento e alienazione dell’io dell’individuo”, nella matematica in quanto conoscenza auto generata che non deve confrontarsi con nessuna realtà, ma piegare la realtà ai propri modelli razionali, ne sono un esempio la finanza, e l’ingegneria.
Il sapere che meglio supporta il “principio accrescitivo femminile” è individuabile oltre che nel “sapere pedagogico e psicologico maieuticamente affermativo di identità individuale”, anche nella biologia e nel sapere medico, in quanto conoscenza etero centrata sul fenomeno da osservare, nel rispetto reciproco delle varie individualità naturali e specie-specifiche.
In questo senso l’approccio femminile è il più adatto per affrontare il fenomeno cov2, e non è un caso che dove le nazioni sono governate da donne, il fenomeno è stato gestito meglio rispetto alle nazioni governate secondo “principi maschili” quali l’Italia, gli Stati Uniti, l’Inghilterra.
In altre parole un virus non va vinto, sterminato, rinchiuso, perché impedisce al “principio maschile di potenza” di essere l’unico ad affermarsi, ma va conosciuto, e ricondotto in un “sano principio eco-biologico” secondo ottiche di rispetto delle esistenze naturali e specie-specifiche, reciproche.
L’industrializzazione di fine ‘800 ha imposto la supremazia di un modello conoscitivo, antropocentrico e orientato a classi di potere umano, questo modello ad oggi permane.
Da ciò ne è conseguita una separazione dell’uomo dalla natura e una realizzazione concreta di una realtà sostitutiva, in cui l’abitare umano, il vivere umano, il produrre umano, si separa dalle altre specie animali e dall’ambiente naturale, e nello stesso tempo crea anche nicchie di separazione fra i suoi stessi simili (classi sociali).
La spinta a separarsi da qualcosa che si ritiene inferiore nasce da un bisogno umano che colloca arbitrariamente valori in una scala più o meno positiva in cui l’essere umano ambisce, collocarsi nei valori positivi più alti, ma in un gioco di attribuzione di valori falso e derealizzato, questa rappresentazione della realtà è molto artificiosa in quanto i processi biologici e fisici, per esempio, procedono secondo leggi naturali molto complesse di tipo organizzativo, crescita decrescita di specie biologiche differenti sulla base di caratterizzazioni genetiche/ fisiche/ sub atomiche.
Da ciò si evince quanto il modello conoscitivo umano sia in realtà una derealizzazione, autoreferente, distruttiva verso la vera realtà: quella naturale, di cui l’uomo fa parte.
L’uomo si auto colloca al vertice di una presunta scala piramidale, separandosi dalle altre specie, autodeificandosi all’interno dell’universo, ma nella vera realtà, quella ecologica, è insita un armonia universale, a prescindere dall’ostinazione dell’uomo a creare una sua realtà parallela in modo artificioso, che tende sempre ad auto rigenerarsi.
L’uomo è l’unica specie biologica che si ostina a voler imporre una propria realtà sulla natura, costruendo artefatti tecnologici, astratti (economia e finanza) e concreti (ingegneria, architettura, urbanistica).
Poiché l’essere umano ha modelli tecno conoscitivi, sostitutivi molto banali e semplificati, finisce con il distruggere la realtà naturale di cui però necessita per poter sopravvivere, in un’elisione della vera realtà naturale che produce con molta probabilità lo spostamento nel tempo di una risposta naturale che in se’ è orientata all’auto armonizzazione, la cui violenza d’impatto sulla realtà costruita dall’uomo sarà prevedibilmente tanto più intensa quanto più posticipata nel tempo con tecno artefatti umani vari.
La rivoluzione culturale che vorrebbe il movimento “ora rispetto per tutti gli animali” parte anche da queste considerazioni, e si orienta in:
All’interno di un fenomeno sempre più diffuso in cui le nuove generazioni stanno perdendo la comprensione semantica delle parole sostituendo la descrizione della realtà con un uso della comunicazione più manipolativa in stile per cosi dire “PNL” ovvero utilizzando le parole per ottenere effetti suggestivi, con l’obiettivo di condurre le persone a fare una scelta a proprio favore, piuttosto che un’altra, si sviluppa velocemente l’ennesima aberrazione della psicologia, ovvero assomigliare alla neurologia o alla psichiatria organicistica, per poter acquisire più potere professionale a discapito di quella onestà intellettuale di cui la psicologia si era fatta portavoce a fine anni ’80 e per tutto il decennio successivo. Questo è quello che sta accadendo fra i neopsicologi delle cosi dette neuroscienze cognitive, i quali si auto incorniciano di autorevoli realtà accademiche (Parma, Trento ecc…) vantando dimostrazioni basate su “pseudo-ricerche” scientifiche a sostegno di ipotetiche localizzazioni cerebrali di uno o dell’altro disturbo psichico, che legittimino l’uso di psicofarmaci incrementando cosi un assai noto affarismo delle aziende produttrici di psicofarmaci, aziende che forse sostengono anche in Italia questo tipo di pseudo ricerca scientifica.
A cosa mi riferisco?
Semplice se andate a leggere le ricerche di questi neo neuro scienziati, all’evidente nostra (nostra ovvero di psicologi che riconducono tutte le cause del disagio psichico a traumi psichici, anche geneticamente trasmessi, pertanto violenza sociale) obiezione che gli psicofarmaci non sono selettivi, cosa vera, cioè non vanno a intercettare l’eventuale area cerebrale specifica del tale o tal altro disturbo, rispondono dicendo che i cosi detti disturbi psichici in realtà si sovrappongono e i disturbi dell’umore e la schizofrenia per esempio a una indagine con RMN (la cui attendibilità della restituzione informatica non supera il 30%) risulterebbero aver la stessa area cerebrale neurologicamente atrofizzata. (quanti soggetti hanno studiato? Perché sotto i 100 non è possibile una generalizzazione statistica) in altre parole girano la frittata: i disturbi sono sovrapponibili quindi si può utilizzare lo stesso psicofarmaco dei disturbi psichici differenti, anche perché in effetti le aziende produttrici propongono tre molecole chimiche in croce (anche se apparentemente modificate) per tutti i cosi detti disturbi mentali quindi se diversi disturbi mentali hanno la stessa area compromessa va bene che si usi la stessa molecola chimica.
Non entro nell’evidente convenienza commerciale ma rimanendo nel merito del metodo scientifico, per affermare una cosa simile,dovremmo avere(ma cosi non sono state condotte le ricerche):
Visto che per il momento non mi è possibile sezionare cadaveriper comprendere se tale fantasia scientifica: presumibili maniaci e schizofrenici avrebbero le stesse aree cerebrali compromesse, ipotesi lapalissianamente a sostegno di un massiccio impiego di psicofarmaci, come “cura” alle reazioni psichiche cosi dette malattie mentali, ma derivate a mio parere esclusivamente da esperienze di violenza sociale, relazionale, proprie o di propri antenati (ipotesi della permanenza a livello genetico, di tipo adattivo di esperienze traumatiche, che possono compromettere la sopravvivenza individuale) propongo un approccio epistemico.
Quali sono gli errori che fa il riduzionismo neuro scientifico?
Cosa voglio dire? Per esempio, lo stomaco ha una sua funzione specifica, quella di trasformare il cibo in molecole che dovranno essere in parte assorbite e in parte eliminate, se per esempio abbiamo la tale cellula che non produce abbastanza acido cloridrico possiamo intervenire chimicamente con una molecola che compensa questo problema, possiamo misurare l’acidità del succo gastrico, dedurre quanto acido cloridrico non viene adeguatamente prodotto e compensare chimicamente. Con il cervello non possiamo fare questo perché: i pensieri non sono tangibili, misurabili come l’acidità gastrica, ne consegue che ogni intervento con molecole chimiche è approssimativo, non selettivo, e può compromette quello che in realtà è un adattamento della mente, o una sua difesa a “traumi psichici: propri o ereditati”. In altre parole, se blocchiamo l’ideazione con farmaci dopamino bloccanti (antipsicotici) anche se il soggetto appare tranquillo, gli abbiamo alzato l’angoscia perché gli abbiamo eliminato quell’ideazione compensativa che teneva a bada la sua angoscia, o ansia, che per dirla in termini organici, può essere paragonata al dolore fisico, quella reazione organica che ci fa per esempio togliere il dito dal fuoco per evitare di rimanere senza dito. Tutto questo, imporre l’assunzione di farmaci bloccanti l’ideazione, è di una crudeltà infinita, anche se molto utile socialmente. Paziente sedato non disturba più.
Quali sono gli errori che fa il riduzionismo neuro scientifico?
2 Semplifica, pensando che la caratteristica strutturale del tessuto, della cellula o della sua collocazione indichi la funzione.
In altri organi apparati la struttura molecolare ci fa comprende la funzione che di solito è specifica, per esempio le cellule muscolari hanno una forma affusolata che permette a loro di accorciarsi o allungarsi (contrazione ed estensione muscolare) a secondo del movimento muscolare che il cervello ha realizzato (ideazione motoria); una cellula muscolare con quella forma di solito non si trova in altri distretti organici, per il sistema neuro ormonale non è così, possiamo avere neuroni con forme diverse svolgere la stessa funzione, e abbiamo cellule neuronali sparse per tutto il corpo, in altre parole che ci siano tanti neuroni o pochi neuroni in una parte del cervello, non ci dice molto, con RMN peraltro molto approssimativa, con RMN vediamo solo se c’è attività “elettro ionica” o meno, ma non possiamo ricondurre quale attività sia in atto; negli interventi di neurochirurgia con paziente sveglio, è vero che se facciamo contare (1,2,3,…) un paziente, e poi togliendo durante l’intervento una massa (per esempio un tumore) il paziente non conta più, possiamo dire che quella parte del cervello serviva per contare, ma non possiamo dire se era un collegamento o la sede della funzione contare, e non possiamo dire che la funzione contare sia in quella zona in tutte le persone, o che poi non si possa ripristinare in un’altra zona del cervello (come talvolta avviene), quindi affermare che in quel punto del cervello c’è la funzione del contare è una semplificazione e stiamo parlando di attività mentali molto semplici e automatiche.
PERTANTO il neuro riduzionista Deduce con affrettata approssimazione, e impone come certezze assolute constatazioni deboli e aleatorie.
Perché il riduzionismo neuro pseudo scientifico nonostante l’evidenza intellettuale, continua a proporre simili grossolanità intellettuali, e nella storia in particolare in periodi di particolare decadenza culturale, abbiamo un ritorno di questo modo dannoso di fare scienza?
Non potendo indagare la cosa contattando tutti i giovani neuro scienziati riduzionistici, non mi resta che fare un ipotesi psicosociale, immaginando di avere una parte di società con persone che hanno propensioni aggressive, sadiche e narcisistiche, e una parte di società vittima di queste persone.
Secondo la mia teoria, il malessere psichico deriva da traumi psichici, eventi imprevisti, violenza sociale, ecc…, circoscrivendo alla violenza sociale/relazionale, una delle cause, ne deriva che soggetti che agiscono violenza sociale/relazionale, possano predisporre nelle vittime dinamiche confusivein modo da evitare di essere identificati e pertanto di essere neutralizzati.
Cosa voglio dire? Semplifico: il sadico fa violenza alle sue vittime, e questo fa parte della sua personalità, ha bisogno di fare questo per sentirsi esistere altrimenti il vuoto interiore lo assalirebbe procurandogli angoscia (anche il sadismo agito, è causa di malessere psichico, ma non c’è consapevolezza che si tratti di malessere psichico), lo stesso sadico ha bisogno di convincere le sue vittime che quello che sta facendo in realtà è giusto e inevitabile, in modo da poter continuare a farlo.
Ipotizziamo che questo tratto di personalità: sadismo, porti alcune persone a formarsi in gruppi sociali: “sadismo condiviso” in modo da poter agire violenza come è nella loro natura e nello stesso tempo proteggersi dalle inevitabili conseguenze.
Poi ipotizziamo che questi gruppi di sadici, si organizzino in reti sociali, e che vadano ad occupare luoghi di potere sociale, il che è naturale vista la loro naturale tendenza al dominio sugli altri, e si organizzino in una struttura sociale forte e potente.
Ne deriva che abbiamo un’ organizzazione di sadici che ha molto potere sociale, e in questo modo può agire su un numero elevato di vittime, senza che queste ci possano farci nulla, imponendo “pseudo verità scientifiche” che giustifichino il tutto.
A questo punto se abbiamo gruppi di sadici coesi che possono anche essere professionisti come alcuni: psichiatri, ricercatori neuro-scientifici riduzionistici, produttori di psicofarmaci potenti,e questi sono rappresentati in modo preponderante nelle varie redazioni di manuali diagnostici (DSM….) APPARE OVVIO CHE IL DISTURBO SADICO DI PERSONALITA’ NEI MANUALI DIAGNOSTICI es DSM NON LO VEDREMO MAI
E non dimentichiamo che il narcisista e il sadico come piacere massimo ha proprio quello di annullare la personalità della sua vittima, in questo modo può agire indirettamente e diffusamente, solo convincendo tutti della bontà delle sue ricerche e della necessità delle cure proposte CHE NEL NOSTRO CASO GIUSTIFICANO UN USO MASSICCIO DI PSICOFARMACI.
Pertanto non stupisce che certi gruppi di ricerca trovino sede per esempio in una città come Trento, dove tutti abbiamo potuto vedere la crudeltà con cui vengono trattati gli animali selvatici (per esempio le mamme orse) potrebbe trattarsi di un area geografica dove l’ipotesi dell’organizzazione in reti sociali di sadici, forti e socialmente potenti, è già affermata.
CONCLUDENDO è necessario che tutti in particolare i giovani si riapproprino della conoscenza semantica delle parole, solo cosi si diventa meno manipolabili e meno vulnerabili alla violenza sociale di gruppi di persone che per la loro insanità mentale hanno ottenuto un eccessivo potere sociale e la possibilità di dominare in modo diffuso larghe fette della popola
Come la psicologia abbia un’oggetto di studio reale anche se intangibileche può essere indagato in modo scientifico, l’ho già argomentato nei precedenti articoli di questo blog.
Talvolta però gli stessi psicologi, neopsicologi e pseudopsicolgi, si prendono delle libertà che trasformano la psicologia in una sorta di “auto-realizzazione” narcisistica, attraverso pettegolezzi seriosi sul presunto stato mentale magari di qualche “vittima designata” e questo accade quando si interpreta in modo indiretto senza avere direttamente la “versione ideica” dell’interessato, (il perché e il per come una persona decide di comportarsi in un modo invece che in un altro) cioè quando si discutono in un gruppo di persone: “casi psicologici”, mentre l’interessato è totalmente ignaro del fatto.
Ancor più graveè il fatto se sulla base di tale “pettegolezzo pseudo scientifico/discussione di casi clinici” un gruppo prende decisioni comportamentali basate su una “rappresentazione propriae inventatasull’ipotetico caso clinico”, quindi avulsa dalla realtà in quanto costruita senza consultare l’interessato, cosi facendo costruisce derealizzazioni di gruppo talvolta deliranti, sui presumibili motivazioni e contenuti nascosti ma veri di cui il soggetto non sarebbe consapevole che nelle fantasie interpretative del gruppo appare ovvio e lapalissiano.
Questo può avvenire in contesti patologici, per esempio in realtà scolastiche e universitarie(per lo più sistemi sociali chiusi), e avviene quando persone senza un adeguata preparazione di base s’improvvisano psicologi, oppure quando psicologi molto ingenui e poco esperti, vogliono fornire risposte improvvisate senza alcun fondamento reale.
Questo può avvenire anche in contesti lavorativi patologici, per esempio di tipo impiegatizio, banche, uffici amministrativi,e ne sono più refrattarie tutte le realtà che per loro natura interagiscono con realtà tangibili, lavori agricoli, industriali, cioè la dove il prodotto delle proprie azioni è immediatamente visibile e tangibile.
A questo delirio di gruppo (psico-pettegolezzo scientifico) su una persona, segue un comportamento del gruppo attinente al proprio delirio (*), di cui la persona è ignara, quello che accade è una catena di reazioni comportamentali della vittima designatain ragione del fatto che la modalità comportamentale del gruppo patologico, viene vissuta come avulsa da propri modi di essere, in altre parole la vittima designata vive come privo di relazione causale a propri modi di comportarsi, la decisione che il gruppo patologico ha preso su come la persona deve essere, il gruppo si fa un idea condivisa senza confrontarsi con l’interessato, cioè a mette un abitino a una persona, la persona rigetta l’abitino perché giustamente non lo ritiene proprio, e questa reazione viene vista dal gruppo come conferma della “problematicità” della persona che semplicemente sta difendendo la propria e vera identità.
I modellipsicologici di riferimento teorici, che maggiormente predispongono queste patologie sociali (mobbing, bullismo), sono quelli comportamentisticianti soggettivistici, oggi si chiamano cognitivo comportamentali, neuro cognitivi (anche se di: “cognitivismo” non hanno nulla),o attinenti ai modelli riduzionistici delle neuro scienze, sono modelli che negano la soggettività individuale e inventano ipotesi scientifiche considerando tangibile la psiche anche se non lo è, metaforicamente sarebbe come dire che studio l’aria come se fosse un solido anche se non lo è. Quindi i colleghi psicologi che maggiormente corrono il rischio di patologizzare gruppi sociali sono i comportamentisti.
A questo proposito il codice deontologico degli psicologi vieta nella maniera più assoluta di fare diagnosi senza il consenso dell’interessato e di diffonderle in violazione della legge sulla privacy.
In altre parole gli psicologi non possono fare diagnosi psicologiche, diffonderle, e decidere assieme a persone che non siano i diretti interessati, comportamenti da tenere verso l’ipotetica o presunta “persona problematica” al fine di aiutarla a risolvere i suoi problemi, i non psicologi, coloro che non sono iscritti all’albo degli psicologi, invece possono farlo,in quanto le eventuali “etichette diagnostiche” ipotizzate dai non psicologi, non avendo alcuna validità risultano essere opinioni personali che possono essere liberamente espresse in nome della democrazia e del diritto a poter esprimere liberamente il proprio pensiero.
A questo punto appare evidente come la psicologia possa divenire “patologizzante” ovvero, quando un gruppo in un contesto patologico, attribuisce con meccanismi di tipo proiettivo, ipotesi interpretative di tipo psicologico e si comporta di conseguenza, quindi azioni che l’eventuale soggetto designato come “soggetto problematico” avverte come avulse dalla propria effettiva personalità e comportamento avuto in passato, spesso si tratta di “castelli fantasiosi” costruiti attorno a una persona che per il suo modo di essere si discosta dalla patologia sociale del gruppo e non vuole far parte della patologia.
Il gruppo patologico è spesso refrattario a ogni autocritica sulla propria patologia sociale, proietta le sue fantasie di gruppo producendo la solita “vittima designata” utile a mantenere l’equilibrio patologico del gruppo, e questi sono i terreni sociali in cui si verificano violenze sociali tipo mobbing, bullismo ecc.
Quando un gruppo è patologico ha bisogno sempre di una “vittima designata” e una volta espulsa una persona ne trova un’altra e questo è ricorrente, se in un contesto sociale in modo ricorrente ci sono dinamiche espulsive verso un individuo, è quasi certo che si tratti di gruppi con patologie sociali proprie.
Concludendo è troppo sottovalutato il danno che può arrecare socialmente un uso della psicologia, distorto, approssimativo o avulso da una necessaria e piena considerazione della soggettività individuale, le patologie sociali, perché è cosi che dobbiamo iniziare a chiamarle, danneggiano non solo le relazioni o le eventuali vittime designate, ma anche tutto il sistema economico, giuridico, sociale, una cattiva psicologia può far prendere decisioni che possono distruggere l’esistenza di interi gruppi familiari, lavorativi, scolastici, universitari.
Comprendo che nel cercare di essere sintetica ho fatto affermazioni che necessiterebbero di adeguate argomentazioni, chi è interessato può commentare qui sotto in modo che possa adeguatamente argomentare le mie affermazioni.
(*)riferimenti teorici Luc Ciompi (1988)
per cortesia se utilizzate alcuni spunti di questo articolo citate la fonte cosi che non si faccia passare agli autori la voglia di scrivere.
Negli ultimi anni sempre più numerosi gli episodi di violenza sociale che i media mettono in evidenza. La caratteristica di questi episodi e del fenomeno in generale è che:
In sintesi gli aspetti di problematicità “generalizzabile”sono:
Da ciò ne consegue che (la storia insegna)
La distanza dalla realtà contingente, l’esaltazione narcisistica, la regolamentazione avulsa dalla realtà e le risposte sostanzialmente autoritarie, anche se presentate in modo scenico, in modo accettabile e gradevole, portano a una generalizzazione della violenza sociale come avvenne con il fascismo ed il nazismo.
L’unico modo per rendere reversibile questo processo è:
Non avere paura della realtà convivere amorevolmente con essa eliminando le forme di violenza sul nascere.
Valorizzare chi è portatore di contenuti, di capacità cognitive complesse e capace di identificare principi astratti assoluti.
Depotenziare chi è portatore di semplificazioni, falsificazioni, imposizioni regolamentative autoritarie e improvvisate.
Farsi una propria personalità basandosi su principi etici complessi, distinta dai modelli omologanti consumistici.
(*) Essendo un fenomeno sociale in cui gli episodi di violenza estrema sono distribuiti a macchia di leopardo, in modo ricorrente con notevoli similitudini fra loro, è evidente che non si tratta di episodi occasionali ma di “sintomi apicali” di un sistema/discultura sociale diffuso che li predispone e che ha carattere deterministico. La causa di tanto azzeramento empatico non deriva da “un addestramento tipo militare” ma da un “addestramento mediatico” è li che andrebbero riconosciuti i motivi, anche avessero la sola finalità di attrarre l’attenzione di più individui per soli scopi commerciali (certa morbosità attentava per eventuali stimoli disempatici) con relativa complicità politica per questioni di produzione e acquisto di beni (tasse) questo non può essere prioritario rispetto l’equilibrio psichico e la sicurezza sociale.
Questo è l’ennesimo travisamento della teoria psicoanalitica, come primo punto S. Freud era molto esigente con i suoi studenti riguardo il rispetto di un setting psicoanalitico neutrale che certamente non era un palcoscenico collettivo che si mostra a un pubblico, ma il contrario è soggettivo individuale privato e neutrale, lo psicoanalista non incoraggia nessun comportamento tanto meno sanguinario e violento.
Sempre secondo Freud l’unico strumento per entrare in contatto con il proprio sub conscio è il sogno e non un agire sadico e sanguinario collettivamente condiviso.
In Totem e tabu, vero Freud fa alcune considerazioni di tipo antropologico sui riti religiosi ma fa riferimento a tradizioni rituali culturali secolari e non a invenzioni rituali di un artista presumibilmente istrionico.
Per quanto riguarda la pulsione di cui parla Freud (libido, di difficile traduzione) essa è una spinta verso la soddisfazione di un desiderio, istintuale ma di fondo con base orientata alla vita cioè o procreativo (sessualità) o auto conservativo (cibo territorialità) Freud ha definito sadismo la pulsione che prende la via patologica della distruttività gratuita, senza una finalità auto conservativa o conservativa specie specifica.
Per concludere va detto che nulla di psicoanalitico o psicologico c’è in queste manifestazioni teatrali o cosi dette artistiche.
“l’immagine ritrae uno spezzone teatrale di una “artista macellaio” di cui si dice che:
” cerca di insinuarsi nel subconscio del singolo colpendolo con immagini di animali sanguinanti e sacrificati in croce, ebbrezza, nudità e sangue. In questi giochi rituali, che durano diversi giorni, si incitano gruppi di persone a squartare bestie da soma, a tirarne fuori le viscere e a calpestarle, a imbrattare di sangue delle persone crocifisse e a unirsi in un rito collettivo di frenesia, basato su riti liturgici e sacri. Questi gesti portano il singolo ad entrare in contatto con il proprio essere animale più profondo e istintivo, e quindi a toccare gli ambiti più bui e nascosti del proprio essere, che sono normalmente repressi dalla società umana. I partecipanti all’opera di Nitsch vengono costretti a vivere con una presa di coscienza questa totale disinibizione degli impulsi animali, e con questo anche la nostra innata potenzialità e tendenza alla violenza e alla distruzione. La decadenza radicale verso la sensualità ha come risultato una reazione catartica e purificatoria, e quindi l’ascesa alla spiritualità.https://it.wikipedia.org/wiki/Hermann_Nitsch
L’architettura razionalista, che molto si è diffusa nel ventesimo secolo, oggi con le sue ortogonalità pesanti e imponenti, sventra la struttura ecologica, fatta di sfere e spirali collegate fra loro in un complesso micro e macro sistema.
La forma esteriore che possiamo ricostruire con il nostro sistema sensoriale, in natura non è mai ortogonale e nemmeno matematica, basta pensare all’anno solare e alla necessità di inventare un anno bisestile per sistemare l’errata suddivisione del tempo in giorni, ore, minuti. Oppure basta pensare a come cresce la vegetazione sempre in modo circolare, nonostante si voglia trasformare in pali gli alberi con le cosi dette “potature necessarie”.
L’unico andamento lineare che troviamo in natura è quello del predatore sulla preda, e già questo ci può far immaginare l’atteggiamento inconscio dell’uomo occidentale e dell’architettura razionalista contro la natura, che si risolve fra predazione e separazione da essa attraverso costruzioni architettoniche che si impongono su parallelismi, ortogonalità, mai esistenti in natura, quasi a voler distinguere l’arrogante antropocentrismo costruttivo, dalla, come tale percepita, inutilità o dannosità della natura.
Ci sarebbe da chiedersi se tutto questo non sia alquanto insano, se non fosse per l’elevata diffusione che ha, sia nella cultura occidentale che ora in quanto copiato anche nelle culture non occidentali.
Nel razionalismo architettonico il cromatismo viene semplificato in modo infantile, pochi e distinti colori stesi su ampie superfici in modo uniforme, semplificando al minimo anche i volumi architettonici e le geometrie urbane che li incorniciano, ed è cosi che il razionalismo architettonico di Souto de Moura, si pone trovando apprezzamento in una città come Mantova, dove vengono ultimamente eliminati centinaia di alberi ogni anno, forse perché nella più percepibile linearità desertica della linea di terra… l’inquieto riesca a calmare le sue paure.
Ma un antico detto popolare dice “chi male non fare paura non avere”…. e allora c’è da pensare che invece di imporre tanto razionalismo architettonico non sia meglio modificare il proprio atteggiamento, rendendolo meno predatorio (lineare) e violentemente distruttivo verso tutto ciò che non gli assomiglia in primis la natura.
Naturalmente l’ipocrisia del boschi verticali, o di certo vasame urbanistico che contenga deboli fuscelli arborei, non ci convince, se non per il fatto che si voglia umiliare la bellezza della natura per imporre tanta bruttezza di forme banali e infantili come quelle razionalistiche di edifici, con annessi urbani altrettanto disagevoli quanto sradicati dalla storia e dal rispetto di essa.
Proseguo con i miei articoli critici sull’architettura, come premessa a una propositività che ha trovato il chiasso di un trattore, nel campo di una università, che altro non poteva fare che coprire il suono di un violino che incautamente si era messo a suonare senza rendersi conto del contesto in cui era capitato.
Per quanto sia possibile definire con la limitatezza dei nostri sensi, il tangibile che ci circonda, senza ombra di dubbio esso appare come un insieme di spirali perfettamente in armonia fra loro che pulsano entropicamente in un alternarsi contrattivo e dilatativo, come se un cuore universale segnasse il passo di questa energia che ovunque si propaga e ritorna definendo identità e movimenti.
Basta osservare le forme degli alberi che spontaneamente crescono senza subire la violenza di potature, il movimento delle onde del mare alimentate da venti le cui direzioni non sono mai ortogonali, oppure anche microscopicamente l’evolversi della crescita cellulare dal concepimento in poi.
In questo contesto di dinamiche spirali ellissoidee con l’ottusità tipica del tecnicoche impone i propri modelli assiali, la realtà fenomenica viene sventrata da forme cubiche e rettilinee, di strade, edifici, che stocasticamente si impongono su un territorio in modo avulso da ogni rapporto con la vita e la biologia, mentre al proprio interno costruttivo, impongono sistemi ipercontrollati di dettagli semplificati in poche variabili, i tre assi cartesiani.
Inadattate per scelta, dissonanti al contesto vitale di boschi, montagne, mari, fiumi esse si impongono come un modello di mortein cui l’elevata temperatura cui sono stati sottoposti i materiali costruttivi, non permetta per diversi decenni alcuna possibilità vitale.
In questa desertificazione abitativa l’uomo occidentale è costretto a vivere, mentre sviluppa fobie verso qualsiasi cosa che abbia vita, e un autonomia propria: la biologia, la quale come uno specchio fa sentire la propria protesta, con crescite disorganizzate di cellule, i tumori, ormai sempre più diffusi non solo negli uomini ma anche in piante e animali.
Forse la biologia aveva una traccia: il suono del canto degli uccelli, che vengono uccisi da cacciatori che si prodigano per una sempre più estesa cacofonia dell’ecosistema.
In questo contesto come una divinità mortifera, si impone la violenza ortogonale dell’architetto, e dell’urbanista, sventrando paesaggi, livellando ogni cosa in modo che tutto appaia semplice, comprensibile anche a un idiota.
In questo deserto costruttivo fatto come un insieme di granellini di materia morta: la sabbia, l’architetto “thaniatiano” in un estasi orgasmica progetta contenitori perfettamente cubici, possibilmente di soli due colori il bianco e il nero, come la scacchiera, sopra cui svolgere il gioco, gioco in cui l’architetto non si rende conto che sta giocando con se stesso e non con quella natura che vorrebbe trasformare, la banalità del male (thanatos) si specchia in un gioco che è destinato ad auto-estinguersi, per quanto l’architetto inventi vasi cubici per far stare alberi senza radici, destinati a morire a breve, i loro semi eternamente viaggeranno nel vento e si poseranno nel momento giusto al posto giusto, il grande architetto: Dio vince sempre, mentre il sole scioglie le ali di cera di cui sono fatte le idee di certi architetti, boriosi, intransigenti, ottusi e ignoranti.
Strategie reattive, ovvero il nostro vecchio e caro comportamentismo ottocentesco, travestito da cognitivismo, ve lo ricordate? Applicato ai bambini nelle scuole americane per oltre mezzo secolo con l’idea della tabula rasa su cui scrivere quello che si vuole. Fu una distorsione della teoria psicologica che eludeva l’ascolto e la capacità di comprendere l’altro entrando in una relazione empatica, il comportamentismo ha silenziato tutte le responsabilità derivabili dal riconoscimento del processo causale, porterà poi in Europa alla deriva nazi – fascista.
Bene non è servito a nulla sperimentare questo delirio di onnipotenza, percorrere le vie del dolore che ha provocato in pochissimo tempo, il piatto viene servito nuovamente con aromi diversi ma la sostanza è uguale. Dissuasori urbanistici, manipolazioni emotive nell’ambiente, camice di forza invisibili studiate appositamente da esperti per imbrigliare il comportamento sociale prodotto da un insano modo di affrontare i bisogni urbanistici o meglio da tante non risposte alla stocasticità urbanistica dell’ultimo secolo.
I nostri esperti che non sanno valutare e propongono per esempio insensatezze come ciclabili con tornanti che ti sbilanciano poi cosa faranno? Obbligheranno a utilizzare quelle demenziali ciclabili? Ebbene si perché pensare e riflettere è faticoso, imporre e costringere è più facile, in una iper stimolazione artificiale, che renderà tutti sensorialmente più inadeguati, in un fare pressione che renderà tutti più aggressivi e violenti, in un non senso che renderà tutti più ansiosi, in una esaltazione ipnotica che farà credere a tutti di essere speciale gonfiando quel narcisismo che ormai è diffusissimo e così utile ai produttori di farmaci, perché nel narcisismo la forza dell’io viene annientata creando il vuoto dell’anima e non poco dolore mentale. E’ la nuova architettura che avanza, non meno violenta della finanza, non meno falsa della politica, non meno dissonante e contradditoria della cultura che viene propinata in modo commerciale nelle università italiane.
Presto la natura ci presenterà il conto mentre come se nulla fosse continueremo, ma penso per poco, a violentare architettonicamente la biologia di cui siamo fatti.
In questa rincorsa a fare cose per produrre una proprio reddito, gli architetti odierni si sono inventati un bisogno: la necessità di pulire e rifare gli edifici storiciin nome di una “riqualificazione urbana”, etichetta linguistica che evoca qualcosa di positivo, dietro cui però c’è la cancellazione dei segni del tempo,che in realtà evocano il principio di realtà di causa/effetto, e richiamano alla necessità di azioni responsabili, e cioè per esempio: che inquinamento, vibrazioni, distruggono la bellezza creata secoli fa e che oggi più nessuno è capace di riprodurre.
L’uomo contemporaneo vuole cancellare la propria inettitudine e i segni dell’egoismo distruttivo del proprio ostentare staus symbols come l’automobile, in un autoesaltazione del suo bisogno egocentrico che diventa un egoismo distruttivo che vorrebbe cancellare ogni responsabilità delle proprie condotte consumistiche e inquinanti, condotte che stanno estinguendo assieme a certi restauri antiche bellezze architettoniche e naturali.
E’ cosi che “la bellezza della vernice fresca” dai colori uniformi e dai caratteri cromatici avulsi dai cromatismi naturali, s’impone come un bambino viziato il cui pianto perfora i timpanisenza che nulla sappiano comunicare perché ancora incapace di parlare, e conduce tutti verso un infantilismo che tutto semplifica e nulla discerne, fatto di sguardi bassi incollati suoi propri cellulari o apparecchi tecnologici vari.
Un restiling architettonico che possiamo paragonare ai rigonfiamenti botulinici di vecchie star del cinema, come le star dell’architettura: “gli edifici storici” trasformati come i volti mostruosi e inguardabilidi certi interventi di chirurgia estetica, da azioni abrasive, leviganti che come l’acido solforico buttato sul volto di una bellissima donna, ne snaturano ogni forma e bellezza antica, ma nessuno vede perché china il proprio sguardo sul facebook o wathsapp del proprio cellulare, e comunque si sa che se qualcosa fa PIL non si tocca.
Impotenti dobbiamo convivere con questa ignoranza giovanile, boriosa di politici e architetti trentenni che si impongono come la pubblicità in un bellissimo film, perché cresciuti cosi fra supermercati, video giochi e pubblicità aggressive cosi si sono formati con la complicità di genitori sempre occupati a produrre PIL.
Tutta questa devastazione architettonica, ha ucciso l’empatia e si guarda bene dal dare anche minime risposte abitative ai bisogni reali dei poveri, degli indifesi che nel frattempo perdono la propria vita su una panchina in una fredda giornata d’inverno, offrire architettura dove c’è un reale bisogno non fa PIL, meglio buttarsi sul denaro pubblico, in progetti pagati dalle istituzioni governative: Comune, Regione, Stato, con interventi invadenti che esaltano lo stile banale e kitsh del “Renzi /Piano” di turno.
Le mie più sentite condoglianze a Mantova stanno cadendo sotto la falce mortifera del restiling edifici evocativi di poesia e storia, speriamo che da questa decadenza culturale che tutto desertifica nasca nel momento dell’irreversibile perdita una consapevolezza che certamente sarà dolorosa quanto necessaria.