Psichiatria: la fabbrica della follia.

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La fabbrica della follia
Nel secolo scorso, lo svedese Arvid Carlsson osservò che il morbo di Parkinson era determinato da una carenza di dopamina in una determinata zona del cervello (la via nigro-striatale del sistema extrapiramidale); da questa osservazione, con grande superficialità, gli psichiatri dedussero, senza mai dimostrare nulla, che i farmaci anti dopaminergici curavano la schizofrenia perché riducevano la dopamina nel cervello.
Lo avevano dedotto solo perchè questi farmaci antidopaminergici inducevano una forma di parkinsonismo (tremori in assenza di movimento), se questi farmaci toglievano i deliri, poichè poi producevano tremore (sintomo del Parkinson) i deliri erano secondo gli psichiatri, causati dall’eccesso di dopamina, ma semplicemente questi farmaci bloccavano ogni tipo di ideazione, il cervello ha funzioni specifiche per via dei circuiti neuronali e non per i tipi di mediatori che sono presenti nel cervello (dopamina, serotonina ecc)
Fu nel 1967 che Jaques van Rossum formalizzo (a suo parere scientificamente ma con un numero interminabile di fallacie logiche) che l’eccesso di dopamina nel cervello causava la schizofrenia.
Ipotesi mai abbandonata dalla maggior parte degli psichiatri, ancor oggi in auge che legittima l’uso anche massiccio di farmaci detti antipsicotici, come per esempio il Serenase, sintetizzato nel 1958 dal Belga Paul Jansen ad oggi il neurolettico più prescritto al mondo.
In realtà già negli anni settanta, questa ipotesi di Jaques van Rossum si rivelò falsa, lo evidenziò Whitaker (USA) che pubblicò sull’organo governativo di ricerca, l’esito dei dati in cui emergeva che i pazienti non trattati con psicofarmaci venivano dimessi prima (recessione spontanea dei sintomi psicotici) e in numero minore andavano incontro a ricadute psicotiche entro l’anno.
Un altro psichiatra americano, dimostrò che la schizofrenia aveva più probabilmente un origine sociale (e psico-traumatica) lo fece creando delle unità abitative di sei schizofrenici in un clima di elevata empatia relazionale, e ottenendo a due anni di distanza un numero significativamente più basso di ricadute psicotiche rispetto al gruppo di controllo di pazienti trattati con psicofarmaci.
Verso il 1977, in Montreal due medici: Guy Chouinard e Barry Jones dimostrarono che gli antipsicotici bloccando sino al 90% i recettori dopaminergici D2, nel cervello, inducevano nel cervello un aumento dei recettori D2 post sinaptici (contrasto biochimico del cervello per vanificare l’azione del farmaco) rendendo il cervello più sensibile alla dopamina, ovvero inducendo assuefazione, e questo come si può chiamare cura della schizofrenia? Se esso stesso potenzia l’effetto della dopamina?Infatti i dosaggi dovevano via via essere aumentati. In definitiva l’alloperidolo (Serenase) è un produttore chimico di psicosi installato nel cervello, appena lo sospendi i sintomi riemergono più acuti di prima.
Anche l’OMS valutò l’esito delle cure psichiatriche con gli psicofarmaci, diffondendo i risultati del 1978: in India e Nigeria due terzi dei pazienti aveva esiti favorevoli (dove solo il 16% si curava con psicofarmaci) nei paesi occidentali solo un terzo ( due terzi assumeva antipsicotici).
Chakos Madeson Gur (USA) dimostrarono che gli antipsicotici aumentano il volume dei nuclei della base e del talamo (le emozioni negative vengono intrappolate senza poter uscire) e diminuiscono i volumi dei lobi frontali (ideazione astratta , volizione, etica) quindi non è la schizofrenia che deteriora cognitivamente ma i farmaci, la perdita del controllo pulsionale è dato dall’ipotrofia dei lobi frontali, cioè dalla cura!
Praticamente l’idea kraepeliana di fine ‘800, che la schizofrenia porta a demenza, viene affermata producendola con sostanze chimiche? La profezia si auto avvera.
Nel 2008 Nancy Andreasen un neuroscienziato americano, afferma senza ombra di dubbio che : quanto maggiore è stato il dosaggio dei farmaci tanto maggiore è stata la perdita di tessuto cerebrale.
Nel 2007 Martin Harrow, dopo uno studio di 15 anni evidenzia i seguenti esiti: dei pazienti non trattati farmacologicamente il 40% era guarito il 50% lavorava, mentre fra i pazienti trattati con i farmaci solo il 5% era guarito e il 64%aveva ancora una sintomatologia psicotica.
Tutto questo è sempre stato più che evidente, almeno per quanto mi riguarda già lo avevo evidenziato alla fine anni ’90, ma la risposta degli psichiatri, mi veniva riportata anche sulla Gazzetta di Mantova, e fu: che i miei erano solo pregiudizi nei confronti degli psicofarmaci, il problema è che il sistema ospedaliero è un sistema chiuso di tipo feudale, la psichiatria ne è l’apice.
Nulla è cambiato da quando cercavo di spiegare perchè gli psicofarmaci potevano solo peggiorare la sintomatologia psichiatrica, in quanto essa stessa era l’espressione estrema di un tentativo di riparare, quasi oniricamente, profonde “ferite” psichiche che il soggetto aveva subito e talvolta inflitto. Ma ancora sono perplessa circa il giustificazionismo e l’indifferenza che aleggia su tanto sadismo. Mi consola però leggere una pubblicazione da parte di uno “psichiatra riluttante” Piero Cipriano, da cui ho tratto alcuni dati. Ma nessuna ammenda da parte dell’attuale psichiatria può essere più credibile dopo l’illusione basagliana. La mente e la coscienza non sono di competenza medica, la storia dei vari abbagli e insuccessi lo dimostra, ma forse serviranno altri 15 anni per poter vedere questa ovvietà scritta da qualche altro psichiatra riluttante, con il solito seguito: il nulla.

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L’insostenibilità scientifica della tesi dello squilibrio chimico nella depressione.

psicofarmaciChe la questione dello squilibrio chimico nei problemi psicologici sia un’assurdità scientifica è da tempo che in molti lo dicono, ma per esemplificare questo concetto possiamo evidenziare l’aspetto del dolore, la sua intensità o meno e le strutture anche serotoninergiche che lo modulano.

In sintesi: nel “circuito nervoso” dei “neuroni dolorifici” del midollo spinale sono presenti anche sinapsi serotoninergiche, i cui assoni si collegano anche ad un altro circuito neuronale implicato nella percezione del dolore fisico, sempre con sinapsi serotoninergiche: il nucleo rafe magno, a livello del bulbo, quindi la parte appena sotto il cervelletto, non si tratta di connessioni corticali o limbiche dove sono presenti elaborazioni ideiche o affettivo/emotive, ma di strutture per l’elaborazione sensoriale del dolore fisico, il dolore fisico aumenta con l’aumento dell’attività serotoninergica in queste sinapsi, se ti bruci un dito e il dito ti fa male, a livello spinale e bulbare vi sono anche sinapsi serotoninergiche che te lo dicono.

Quindi uno psicofarmaco, detto antidepressivo, perchè capace di attività serotoninergica (quanto dichiarano le imprese farmaceutiche), al momento di una certa concentrazione nel sangue andrà un po’ ovunque, anche a livello del midollo spinale e del bulbo, o no? E che c’entra il midollo spinale o il bulbo con la depressione?

Nessuno psicofarmaco vanta la selettività che si dice avere, e nemmeno la specificità in quanto: i circuiti neuronali la cui integrazione è molto complessa, possono funzionare per funzioni differenti, con gli stessi mediatori chimici, ed è la concentrazione o meno di questi mediatori chimici a livello sinaptico, che da un effetto o l’altro, non la sua presenza ovunque, e in ogni caso un farmaco assimilato e presente in concentrazioni differenti nel sangue, a secondo del metabolismo di una persona non può essere controllato in termini di concentrazione sinaptica e nemmeno è possibile dire a una molecola di andare dove vogliamo che vada.

Quindi se con l’assunzione di antidepressivi aumenta il dolore, questo potrebbe essere un effetto secondario dell’antidepressivo che così specifico per la depressione non è.

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La scienza occidentale è quella cosa che pretende di essere vera pur non essendo vera per nulla.

L’agire umano è sempre stato caratterizzato da un antropocentrismo gerarchizzato, siamo passati dall’antropocentrismo politico, a quello teologico, a quello biologico.

L’antropocentrismo politico fu quello degli imperatori, per esempio della realtà politica romana ed egizia, dove la punta gerarchica, per esempio il Faraone, si auto attribuiva qualità trascendentali e divine che lo ponevano all’apice della scala gerarchica per superiorità.

Per vincere l’antropocentrismo politico, si creò una via antropo-teo-centrica, per esempio con la religione madre delle religioni afro-occidentali: l’ebraismo da cui è nato l’islamismo e moltissime diramazioni del cristianesimo.

Poi per vincere la posizione teo-centrica, di cui in Italia il medioevo ne è stato l’espressione più significativa, si è creata una via empirica, antropo-bio-centrica, dove l’uomo era messo al vertice della scala evolutiva.

Oggi i modelli occidentali culturali sono ridondanti di questo “empirico-antropo-centrismo”.

Ogni verità passerebbe dall’osservazione scientifica di alcuni umani privilegiati, per presumibile elevata intelligenza e cultura, che sarebbero in grado meglio di altri di conoscere la natura fenomenica del mondo in cui viviamo.

Ma la strumentazione ad oggi nota dimostra che la possibilità percettiva degli umani è molto limitata, per esempio non vedono né uv né infrarossi, e differente da altre specie animali, che per esempio riescono a percepire gli infrarossi e altre onde elettro magnetiche.

Pertanto la logica impone che l’osservazione scientifica essendo osservazione antropocentrica non può spiegare molto in modo obiettivo.

Per esempio il modello medico poggia molto su questo modello empirico-bio-antropo-centrico, e vuole esercitare in modo autoritario il proprio presunto sapere.

Esattamente con la stessa visione antropocentrica di tipo gerarchico che avveniva ai tempi dei romani con il “sacro imperatore”, che è solo sostituito con nominazioni differenti, per esempio l’autorevole premio Nobel, cui tutti devono adeguarsi.

Il modello economico gioca moltissimo su questa predisposizione umana: elargendo risorse la dove desidera aumentare il proprio potere economico.

Quindi ad oggi le attività conoscitive, essendo da un lato: parziali ed autoesaltanti (antropocentrismo empirico-biologico) e dall’altro pilotate da interessi economici (finanziamenti a ricercatori magari compiacenti) non possono pretendere nessuna obbedienza in nome della scienza, ma devono concordare con gli interessati ogni aspetto del loro intervento, in modo privatistico e non nelle istituzioni pubbliche in modo autoritario di cui l’ambito psichiatrico ne è l’esempio più calzante.

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L’ereditabilità genetica della schizofrenia? Un’invenzione scientifica.

Secondo alcune indagini statistiche generiche, nei gemelli omozigoti con genitori schizofrenici, la probabilità di avere nella loro vita dei sintomi etichettati come schizofrenici arriva al 50%, questo ha indotto gli psichiatri a pensare che nella “schizofrenia” vi fosse una predisposizione genetica (malattia geneticamente ereditabile).

Somministrando aloperidolo (serenase), nominato come antipsicotico, secondo il “protocollo psichiatrico” i sintomi della schizofrenia scomparirebbero.

I neurobiologi hanno costatato che l’aloperidolo inibisce indiscriminatamente le sinapsi dopaminergiche, pertanto, in ambito psichiatrico, si è diffusa l’idea che la schizofrenia fosse dovuta a un’ eccessiva presenza di dopamina nel cervello, che andava progressivamente diminuita con terapie farmacologiche.
La ricerca genetica di uno studio a livello globale ha trovato che le popolazioni che storicamente hanno compiuto migrazioni hanno dimostrato un livello maggiore del DRD4 (un gene che modula il numero e l’attività delle sinapsi dopaminergiche) , questo gene è associato a un comportamento di ricerca di novità, ovvero si tratta di persone curiose con una elevata propensione all’esplorazione, e fin qui la cosa è in concordanza con gli studi dei neuroscienziati che collocano la memoria operativa prevalentemente nella corteccia prefrontale ed entorinale, dove sono presenti numerosi recettori dopaminergici.
La memoria operativa è importante nei comportamenti di esplorazione in quanto permette l’integrazione di informazioni spaziali, propriocettive ecc., e la dopamina ha un ruolo importante nei meccanismi di apprendimento e piacevolezza a seguito del raggiungimento di un obbiettivo o appagamento di desiderio.

La variante 7R di DRD4, è presente nel 20% della popolazione e queste persone in genere mostrano entusiasmo verso il cambiamento, l’avventura, il movimento e sono molto propensi a esplorare novità in tutti i sensi: luoghi, idee, relazioni e a essere più disposte a correre rischi per la piacevolezza che da in sè il comportamento esplorativo, nei decenni scorsi gli psicologi avrebbero parlato di persone intelligenti che mostrano interesse e curiosit
Questa variante oggi invece, sarebbe correlata a deficit di attenzione e iperattività, in un certo senso è una variante che rende più o meno sensibili agli stimoli esterni, probabilmente se gli stimoli esterni sono carenti, si attiva un meccanismo di spiacevolezza (frustrazione) che dovrebbe portare il soggetto a cercare un ambiente più stimolante, probabilmente se questo viene impedito il soggetto attiva un comportamento reattivo nei confronti dell’ambiente che impedisce al soggetto di trovare un ambiente per lui “piacevole” (più stimolante), non si capisce l’aspetto patologico in un bambino che segue questa procedura di adattamento egosintonica.
Un ulteriore studio ha mostrato che una popolazione nomade africana, gli Ariaal, sono portatori dell’allele 7R e tendono a essere più forti e meglio nutriti di quelli che non ce l’hanno; se invece conducono una vita stanziale nei villaggi, i portatori di 7R tendono a essere peggio nutriti. Pertanto il valore della variante dipenderebbe dall’ambiente: una persona con 7R sta benissimo in un ambiente mutevole e deperisce in una condizione di stanziale.

Secondo uno studioso: Moyzis, la variante 7R è più alto nelle persone novantenni e rende più improbabile l’insorgere di demenza senile, quindi se la persona viene lasciata a scelte di vita egosintoniche, ha maggiore aspettativa di vita.

 

Nei pazienti psichiatrici, costretti ad assumere aloperidolo (serenase, che inibisce a presenza di dopamina nel cervello) si osserva invece un aumento del deterioramento cognitivo che a questo punto appare più come un effetto collaterale della terapia piuttosto che come un’evoluzione della “malattia schizofrenica”.

Inoltre sembra che piuttosto che di “malattia mentale” possa trattarsi d’intolleranza da parte di un contesto sociale stanziale che vedrebbe nella curiosità e tenacia ad esplorare di un individuo, una “comportamento pericoloso” per la serenità del contesto sociale, naturalmente nei soggetti geneticamente più intraprendenti lo spessore etico deve essere maggiore, ma qui si tratta di adeguatezza nello sviluppare la formazione della coscienza etica (scuola, famiglia) e non di malattia mentale.

Concludendo: il 50% di gemelli omozigoti (figli di presunti schizofrenici) che più facilmente andrebbe incontro a “sintomi schizofrenici” più probabilmente è dato dalla probabilità casuale ( 50%) che un soggetto con genetica presumibilmente predisponente si adatti agli schemi cognitivi degli stanziali (pur essendo propenso ai viaggi e all’esplorazione) e alla probabilità casuale (50%) che intraprenda uno stile di vita egosintonico o meno, e che il contesto sociale stanziale tolleri o meno il suo approccio (con elevata e parallela ideazione) cognitivo all’interno di schemi sociali predisposti. Non si capisce per quale motivo l’1% della probabilità nella popolazione stanziale (perché è li che viene misurato) di avere “sintomi schizofrenici” debba essere ritenuto indicativo rispetto un 50% di probabilità nella popolazione propensa a emigrazione e spostamenti/nomade (con allele DRD4).

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Le fantasie dell’empirismo, e degli psichiatri.

La conoscenza umana socialmente riconosciuta è sempre stata viziata dall’intrattenibile propensione egocentrica di chi la produceva, così si è passati da un approccio che possiamo chiamare “antropocentrismo teologico” a un approccio che per contrastare i paradossi prodotti dall’antropocentrismo teologico passava all’antropocentrismo percettivo meglio conosciuto come empirismo. Per essere più precisi potremmo chiamarlo “oligoantropocentrismo” perché si è sempre trattato di una cultura affermata da pochi “sapienti” socialmente riconosciuti.

L’oligo – antropocentrismo culturale oggi vede nel web il suo più temibile avversario, ciononostante resta il principale e autorevole riferimento interpretativo della cultura occidentale.

I primi a dimostrare l’insostenibilità dell’empirismo costatativo (antropocentrismo percettivo) furono gli psicologi (neurofisiologi) a fine ‘800 con Wundt e Weber, da questo filone sperimentale è continuata una ricerca molto interessante che sostanzialmente dimostra che le nostre esperienze sensoriali e le nostre sensazioni coscienti sono diverse dalle proprietà fisiche degli stimoli che percepiamo, che il sistema nervoso estrae alcuni frammenti di informazione e ne ignora altri e, interpreta il tutto in base ai limiti che derivano dalla sua struttura e dall’esperienza pregressa, quindi l’empirismo, su cui si fonda la medicina occidentale, è una “costruzione cognitiva” dei suoi inventori e dei suoi seguaci.

Ma ciò che lascia più perplessi è che dopo più di un secolo, nonostante le evidenze scientifiche, la maggior parte della “pseudo scienza medica” impone, seguendo la logica degli empiristi, le sue opinioni facendole passare per certezze assolute indiscutibili.

Tale autoritarismo medico è molto presente in ambito psichiatrico, dove le fantasie interpretative di tipo bio-centrico si arrogano il diritto di togliere a un cittadino italiano i suoi principali diritti costituzionali in nome di una presunta “non consapevolezza” che ha bisogno di cure psichiatriche attraverso una trattamento sanitario obbligatorio.

Tutto questo ha attinenza con il sistema medioevale e non con un sistema politico presumibilmente di tipo democratico.

Concludendo: la pratica medica ha una base scientifica dubbia in particolare in ambito psichiatrico, perché parte da un modello conoscitivo di tipo empirico, modello che da più di un secolo è stato dimostrato essere falso, pertanto non può in alcun modo limitare la libertà individuale e l’efficienza ideativa tramite l’obbligo ad assumere sostanze chimiche inibenti i processi neuronali.

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Si eredita l’esperienza psicologica di violenza degli antenati non un dna malato, quindi è su questo che andrebbe fatta prevenzione.

La memoria esplicita, riguarda il ricordo cosciente di informazioni che riguardano persone, luoghi, e oggetti, essa collega la nostra vita mentale consentendoci di ricordare cosa, dove e con chi abbiamo svolto determinate azioni, durante i giorni, le settimane, i mesi gli anni precedenti.

Le strutture deputate alla memoria esplicita sembrano essere principalmente la corteccia prefrontale e l’ippocampo. L’ippocampo conserva le informazioni della memoria esplicita, a lungo termine, ma la conservazione finale di tutte le memorie, si ritiene sia nella corteccia cerebrale.

La memoria esplicita garantisce una memoria operativa che deriva da una persistente attività neurale (potenziale a lungo termine) della corteccia, in cui è implicata l’attività modulatoria del neurotrasmettitore: dopamina.

In alcuni neuroni corticali (es nei neuroni della corteccia entorinale) una breve stimolazione elettrica può produrre una scarica persistente, e una persistente attività riverberante fra popolazioni di neuroni eccitatori situati in diverse regioni cerebrali, analogamente fra popolazioni di neuroni differenti possiamo avere attività da sinapsi inibitorie.

Si tratta di un meccanismo feedback che modula l’impulso a secondo del circuito e non in relazione all’attività dei neurotrasmettitori (presenza o meno dei neurotrasmettitori nello spazio inter-sinaptico) o alla presenza o assenza dell’impulso eccitatorio, ma in base alla persistenza o meno di tale impulso nonché del circuito su cui si propaga e all’intensità minima necessaria.

La memoria operativa dipende anche dall’azione modulatoria della dopamina (D1) la quale risulta efficace per livelli intermedi di attivazione, un attivazione eccessiva (stress operativo) da luogo ad alterazioni della regolazione dopaminergica producendo deficit cognitivi (disturbi schizofrenici) quindi è sufficiente mettere un soggetto in una situazione di iper-stimolazione circostanziale in cui la memoria operativa va incontro a sovraccarico, per esempio dove la sequenza operativa risulta contradditoria e conflittuale (es mobbing) per avere degli effetti schizogeni sul soggetto.

Per fare un esempio pratico una personalità narcisistica, in una posizione di comando, potrebbe dare in continuazione indicazioni operative in una certa direzione, per poi giudicare negativamente il risultato dicendo che il processo operativo avrebbe dovuto essere interpretato differentemente, al solo scopo di mantenere una situazione di dominio, “senza merito” (maggiori abilità e competenze).

Questo dapprima attiva nei sottoposti, il circuito neuronale a livello intermedio, ma poi lo sovraccarica in modo persistente inducendo una maggiore crescita sinaptica (per esempio di circuiti in cui è coinvolta la dopamina) che però non darà luogo a una più complessa e veloce ideazione operativa, di maggiore efficacia, per il semplice fatto che a monte la personalità narcisistica metterà sempre in discussione l’operato del sottoposto che andrà incontro a un inevitabile, “riadattamento sempre più complesso ma inefficace” che produrrà disagio psichico, e potrà modificare l’espressione epigenetica del circuito neuronale coinvolto.

Tale stimolazione psico-socio-ambientale di tipo distruttivo, produce anche una memoria a lungo termine (ma di tipo operativo-disadattivo )che richiede modificazione epigenetica della struttura della cromatina, in quanto l’induzione del potenziale a lungo termine determina metilazione delle basi citosiniche che precedono i nucleotidi della guanina del DNA secondo un complesso procedimento bio chimico che reprime la trascrizione; l’esperienza socio-ambientale modifica la modulazione dell’espressione genetica, perché la proteina regolatrice di un gene strutturale non viene fosforilata e la trascrizione viene inibita.

Tali variazioni epigenetiche, nella metilazione possono essere mantenute durante la replicazione del DNA, in seguito all’attività di metiltransferasi di mantenimento del DNA e trasmesse di genitore in figlio.

Questo significa che le esperienze cognitive dissonanti dei genitori sono ereditabili dai figli, quindi che l’ereditabilità genetica per esempio: maggiore probabilità a sviluppare disturbi psichici, deriva da esperienze di violenze psichiche subite dagli antenati.

L’ippocampo riceve informazioni sensoriali multimodali e informazioni spaziali dalla corteccia entorinale, è un circuito importante per la memoria esplicita, e si attiva attraverso dei potenziali a lungo termine (fino a molte ore) che possono reclutare segnalazioni di secondi messaggeri diversi che modificano la liberazione del neuromodulatore, quindi non si tratta di produzione e concentrazione o meno di un neurotrasmettitore (ipotesi psicofarmacologica) ma di meccanismi più complessi di attivazione o inibizione di liberazione di un neuro trasmettitore in relazione a:

  • soglie di attivazione,
  • persistenza dello stimolo
  • e a dei circuiti che attivano o meno altri meccanismi biochimici di inibizione o rilascio del neurotrasmettitore a prescindere dalla concentrazione del neurotrasmettitore (o molecola simile/psicofarmaco) propagazione o meno dello stimolo assonale e in relazione alla capacità della protein chinasi A di fosforilare RIM1alfa, quest’ultimo aspetto è responsabile delle modificazioni sinaptiche responsabili dell’apprendimento associativo nel riflesso di retrazione nell’Aplysia e nell’apprendimento della paura dovuto all’amigdala nei mammiferi, questo da luogo al potenziale a lungo termine in cui la serotonina attiva l’adenilil-ciclasi facilitando il legame della norepinefrina ai recettori beta adrenergici, nulla che abbia una qualche attinenza neuro chimica per esempio con le benzodiazepine dette ansiolitici (che invece agiscono in modo indiscriminato sui GABA che hanno effetto inibitorio), ovvero definite come terapia farmacologica per diminuire la paura.

Da queste sintetiche sottolineazioni di natura neuro-scientifica si deduce che la prevenzione sulla salute psicologica in ambito lavorativo, familiare e sociale in genere non solo migliora la qualità della vita attuale di tutti, ma influisce anche su quella delle future generazioni.

In conclusione:

  1. ogni reazione individuale a una violenza psichica subita verrà ereditata dalle future generazioni.
  2. le nominazioni degli psicofarmaci presenti in commercio non corrispondono per nulla ai reali effetti sull’organismo, ma sono semplicemente nominazioni (es: “ansiolitico” “antidepressivo” “antipsicotico”) utili alla loro commercializzazione.
  3. la prevenzione circa la salute psichica ha effetti anche sulle future generazioni.
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Il cognitivismo tradito

cognitivismodiversocompL’espressione “processi cognitivi” indica tutti i processi attraverso i quali le informazioni sensoriali, vengono: trasformate, elaborate, immagazzinate, recuperate, usate (Ulric Neisser)

I fondatori della psicologia cognitiva (E.Tolman, F. Bartlet, G.Miller, N.Choamsky, U.Neisser, H. Simon) convinsero la comunità scientifica delle limitazioni del comportamentismo, basandosi sulle prime indagini degli psicologi della Gestalt, degli psicoanalisti, dei neurologi.

Quindi sin dall’inizio i cognitivisti si posero in discordanza con il comportamentismo e non come “approfondimento” e dimostrazione scientifica del comportamentismo.

Ciò che distingue i cognitivisti dai comportamentisti è un sostanziale diverso approccio concettuale e la complessità dei metodi utilizzati.

Inoltre semmai i cognitivisti trovano concordanza con la Gestalt e la psicoanalisi di certo non con il comportamentismo.

Nel 1869 Herman Helmotz misurando la velocità di conduzione dell’impulso nervoso e del tempo di reazione, si rese conto che il tempo di reazione è molto più lento del tempo necessario perché le informazioni raggiungano il cervello.

Freud approfondendo l’ipotesi di Helmotz divise la vita mentale inconscia in: implicita, dinamica inconscia e preconscia.

La memoria implicita viene attualmente attribuita allo striato, cervelletto e amigdala.

La dinamica preconscia si trova a livello corticale, in particolare a livello della corteccia prefrontale (pianificazione delle azioni da eseguire nel futuro immediato) mentre presumibilmente la dinamica inconscia è sostenuta dall’integrazione simultanea delle aree sottocorticali e corticali (conflitti, pensieri repressi, impulsi sessuali e aggressivi).

Questo evidenzia quanto cognitivismo e neuroscienze siano concordanti più con la psicoanalisi che con il comportamentismo.

E’ con lo sviluppo della “magneto elettroencefalografia” che si sono messe in relazione , direttamente dal vivo le modificazioni delle attività di un gran numero di neuroni con particolari stati mentali, inoltre l’uso di tecniche fondate sull’uso di marcanti sensibili al voltaggio e al calcio ha permesso di studiare l’attività di grandi aggregati di neuroni, e l’introduzione di canali ionici sensibili alla luce ha permesso l’attivazione o l’inattivazione dell’attività neuronale nel corso dell’esecuzione di specifici comportamenti.

Questo ha permesso di validare le ipotesi sperimentali dei cognitivisti, i quali erano convinti che vi fossero dei precisi processi interni nel soggetto e che il soggetto non fosse pertanto da considerare come una “tabula rasa” da poter addestrare come si voleva, assunto principale del comportamentismo.

Pertanto la psicoterapia cognitivo comportamentale è un assurdo teorico, sarebbe come se si parlasse di teoria tolemaico-copernico-galileiana, la teoria copernicana non può essere un approfondimento della teoria tolemaica, (teoria copernicana dimostrata da Galileo), come il cognitivismo non può essere un approfondimento del comportamentismo, (cognitivismo dimostrato dalle neuroscienze), semplicemente il cognitivismo pone come sbagliato il comportamentismo e questo viene dimostrato dalle neuroscienze.

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I pregiudizi scientifici sul cervello.

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Il cervello non è come una cartina geografica con confini specifici, invalicabili, ma è organizzato in aree e circuiti neuronali (collegamenti) che hanno funzioni specifiche e inter-connesse; sono in prevalenza i collegamenti che rendono specifica una funzione cerebrale, e non: presumibili confini di gruppi neuronali, e comunque gli stessi gruppi neuronali non hanno un’unica funzione ma più spesso funzioni simili fra loro.

Il metodo cito architettonico non può rappresentare la varietà di funzioni di tutte le regioni corticali (es: Brodman) e nemmeno i loro dettagli, ad oggi per esempio aree differenziate da Brodman in 5 sotto aree, sono state ri-suddivise funzionalmente in 35 aree.

Per esempio la “formazione reticolare” una regione del tronco encefalico, ha un aspetto cito architettonico, caotico, ma si è scoperto che è organizzata in modo dettagliato in base al tipo di neurotrasmettitore: serotonina, noradrenalina, dopamina e questa funzionalità neuronale in questo punto del cervello, non è riconducibile alla forma del neurone né al circuito, in definitiva non vi è un solo modo con cui funziona il cervello, ma dipende: a volte è in un modo a volte in un altro.

E’ difficile pensare che la biologia possa organizzarsi come se ci fossero delle nazioni con confini e centri di potere precisi, questo è stato un errore interpretativo degli scienziati che proiettavano sulla realtà che studiavano, a loro sconosciuta, delle realtà antropocentriche che stavano vivendo, come l’appartenere a uno Stato (es: Cesare Lombroso) .

I neuroni delle varie regioni e il sistema nervoso di tutte le specie animali sono molto simili fra loro, animali e umani hanno le stesse aree: quelle per le emozioni, gli affetti, le rappresentazioni cognitive, le sensazioni, gli schemi motori ecc.

L’idea che gli animali non provassero dolore, non avessero emozioni, e non fossero coscienti, fu un altro errore scientifico che proveniva da una posizione antropo-narcisistica, che voleva vedere l’animale umano come conquistatore di un potere assoluto sulla creazione in virtù di una speciale amicizia con il Creatore di tutto.

Anche in questo caso è difficile poter pensare che la biologia possa funzionare su basi “linguistico/simboliche” magari sulla base di qualche testo sacro tramandato nei secoli oralmente e poi in forma scritta.

Le aree corticali dei due emisferi sono funzionalmente simili, ciò che differenzia per esempio alcune zone dell’emisfero sinistro è l’utilizzo prevalente della mano dx per scrivere, questo è un aspetto culturale non biologico, è difficile da credere che dal “punto di vista della biologia” esista una destra e una sinistra, o che dal punto di vista della fisica esista un sopra o un sotto, ma molte teorie che si sono poste come scientifiche affermavano questo errore antropocentrico, scambiando il punto di vista dell’osservatore, come realtà fenomenica.

 Oggi è tramite la PET (topografia ad emissione di positroni) e l’MRI (risonanza magnetica per immagini) che possiamo analizzare le caratteristiche morfologiche del cervello, ma questo non significa che una rappresentazione ottica ci dica con certezza come funziona il cervello, vero che una forma piuttosto che un’altra avrà un senso nella dinamica complessiva del funzionamento cerebrale, ma probabilmente ogni fenomeno non è spiegabile solo visivamente per questo non vanno sopravalutate le interpretazioni basate solo sull’elaborazione di immagini, per evitare gli stessi errori che furono fatti nel passato da altri scienziati, ovvero scambiare l’osservatore (la nostra elaborazione visiva) con il fenomeno osservato.

Concludendo il nostro modo di studiare la mente e il cervello umano, per poter essere minimamente valido, deve liberarsi da pregiudizi scientifici basati su costrutti teorici tradizionali fallaci, ed essere consapevole delle tendenze antropocentriche, proiettive, autoreferenziali, narcisistiche dell’essere umano anche quando si pone come scienziato, solo in questo modo si può recuperare un po’ di “autorevolezza/credibilità” scientifica, approcciandosi con libertà e consapevolezza dei nostri limiti percettivi e interpretativi rispetto la realtà fenomenica che osserviamo, e nel caso del cervello è anche auto-

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La complessità di un’unica trasmissione sinaptica richiede anche più neurotrasmettitori quindi nessun unico neurotrasmettitore è responsabile né di depressione, né di psicosi, né di ansia e nessun farmaco con molecola affine può essere definito anti-depressivo, anti-psicotico, ansio-litico.

bruno-bozzetto2Peptidi neuro attivi e neurotrasmettitori a basso peso molecolare possono coesistere nelle stesse vescicole di un neurone, la combinazione di queste sostanze da luogo a una stessa azione neuronale.

Per esempio l’acetilcolina e il peptide intestinale vasoattivo vengono liberati contemporaneamente dallo stesso neurone presinaptico per poi esercitare un’ azione sinergica sulla stessa cellula bersaglio.

Altro esempio è la liberazione contemporanea di glutammato e dinorfina a livello dei neuroni dell’ippocampo, con l’azione eccitatoria del glutammato (ma non dimentichiamo che il GABA ad azione prevalentemente inibitoria viene sintetizzato a partire dal glutammato) e l’azione inibitoria della dinorfina; quindi la trasmissione da neurone a neurone può essere una co-trasmissione, altro esempio è la co-liberazione di due neuro trasmettitori a basso peso molecolare quello del glutammato e della dopamina da parte dei neuroni che proiettano allo striato ventrale (Schwartz-Javitch 2013), lo striato ventrale è implicato nei meccanismi del rinforzo, nelle sensazioni di piacere e paura e nell’insorgere dell’effetto aspettativa, qui se si blocca il recettore dopaminergico (psico-farmaci antipsicotici) non si agisce sull’intero meccanismo perché il glutammato continua ad essere liberato e il glutammato è anche precursore del GABA.

Quali pasticci può quindi fare per esempio uno psicofarmaco cosi detto anti-dopaminergico per la cura delle psicosi come per esempio l’aloperidolo? (Serenase)

Il glutammato viene liberato insieme alla dopamina in risposta ai diversi tipi di scarica dei neuroni dopaminergici, aumentando l’immagazzinamento delle monoamine vescicolari variando il gradiente pH che guida appunto il trasporto delle monoamine; vengono chiamati neuroni dopaminergici ma non funzionano solo con dopamina, sono inseriti in circuiti neuronali complessi e ogni neurone ha sofisticati meccanismi di bio-feedback/feedforward.

Le tecniche istochimiche utilizzate per localizzare la complessità della co-liberazione di più neurotrasmettitori si sono avvalse del fatto che catecolamine e serotonina formano derivati fluorescenti quando vengono esposte a vapori di formaldeide, visibili e distinguibili con microscopi a fluorescenza.

Questo non esclude che il sistema nervoso sia ancora più complesso, di certo esclude la semplificazione astratta che fin ora è stata fatta per giustificare trattamenti psico-farmacologici di cui non si conoscevano gli effetti sul cervello, una cosa è certa: l’aspettativa di vita di chi utilizzava continuativamente questi farmaci è statisticamente diminuita di molti anni.

Concludendo, fra interessi commerciali della aziende produttrici di farmaci e interpretazioni semplicistiche sul funzionamento del sistema nervoso centrale sono stati fatti presumibilmente danni incalcolabili che hanno prodotto serie patologie iatrogene di natura cerebro-neuronale, derivate da un superficiale uso di farmaci psicoattivi. La cosa più scandalosa è che questo si è allargato all’infanzia dove ogni reazione comportamentale viene fatta ricondurre a ipotetici squilibri chimici del cervello, interferendo con un ancora più delicato sistema bio-fisico: lo sviluppo.

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