versus Indubbiamente una buona ricerca scientifica non è facile da fare; e in campo psicologico è ancora più difficile perché l’osservatore e l’oggetto osservato coincidono, in altre parole l’oggetto osservato “la mente” coincide con “la mente dell’osservatore” pertanto auto ingannarsi è molto più facile in psicologia che in qualsiasi altra disciplina.
Il ricercatore deve fare i conti con due problemi che invalidano la sua ricerca :
Per esempio l’ipotesi specchio di Giacomo Rizzolati, prevede che esista un’ unità funzionale: il neurone, che determina la specificità della realtà psichica, per lui, conosciuta la funzione cellulare del singolo neurone, si comprende il funzionamento di tutto l’organo: “cervello” e nell’ipotesi specchio sarebbe duplice: motoria effettrice e rappresentativa di una azione motoria, questa “duplicità funzionale” di un’area motoria, è stata definita con il termine “specchio”, per indicare l’ipotesi che l’attività neuronale motoria potrebbe essere localizzata in aree confinate in cui il singolo neurone avrebbe sia la funzione di produrre un determinato movimento, sia la funzione di riconoscere lo stesso movimento prodotto da un altro soggetto, è una aggiunta arbitraria quella di pensare che nel cosi detto “fenomeno specchio” il soggetto riconosca il proprio atto motorio come se si trovasse di fronte a uno specchio.
Dal punto di vista psicologico questo è un errore forte, in quanto gli psicologi sono tutti concordi che sia la funzione imitativa, sia la funzione di riconoscimento nell’altro di qualcosa di simile prevede una distinzione fra se e l’altro, in caso contrario si entra in patologie psichiche dove il sé è “come disintegrato” in altre parole il “fenomeno specchio” è presumibilmente più affine alla schizofrenia, dove la distinzione fra sé è l’altro potrebbe essere compromessa.
Il termine “specchio” non è un termine adatto per nominare un fenomeno che preveda sia la produzione di un atto motorio che il riconoscimento dello stesso atto motorio, l’atto motorio implica in sé una finalità, per esempio raggiungere un oggetto, il riconoscimento della stessa finalità motoria in un altro soggetto implica la comprensione della finalità dell’atto motorio, e non la visione di un altro soggetto uguale a se stesso.
Se un ricercatore si aspetta di vedere un “comportamento specchio” perché lo ha nominato in questo modo, e vuole confermare la sua “ipotesi specchio” corre il rischio di vedere in tutti i fenomeni psichici degli “specchi neuronali”, senza che questi esistano.
Per fare un esempio qui uno spezzone audio a caso, di una lezione universitaria, di un ricercatore dell’equipe di un noto neurofisiologo Giacomo Rizzolati.
inizialmente dice che due soggetti senza arti superiori attiverebbero gli effettori della bocca e dei piedi che andrebbero a sostituire quelli delle mani, a parte il problema della fRMI che per il 70% produrrebbe una “falsa positività” in termini di attivazione di aree corticali, mi pare un po’ azzardato paragonare l’organizzazione neuronale di una persona con caratteristiche fisiche molto differenti (assenza di arti superiori) a una persona che queste caratteristiche non le ha; dove e come si sarebbe dimostrato che il riconoscimento di un atto motorio: movimento della bocca di un soggetto con gli arti superiori, corrisponde a un riconoscimento nel soggetto senza arti superiori della sua stessa finalità dell’atto motorio?
Sempre nello spezzone audio egli critica una psicologa cognitivista, scettica sulla teoria specchio, dicendo che questa psicologa, non coglie il meccanismo di risonanza motoria di rispecchiamento, ma ovvio noi psicologi non vediamo degli specchi nell’ attività cerebrale, tanto più se cognitivisti, vediamo riconoscimenti, sequenze motorie, azioni finalizzate con un vocabolario che utilizza parole che evocano un’ attività psichica e non oggetti d’uso comune: specchi, cui si attribuisce un qualche senso metaforico non ben definito.
Il termine “risonanza” nell’uso del vocabolario psicologico, descrive più un fenomeno di tipo fisico/acustico, piuttosto che un fenomeno psichico, è la psicologia ingenua che utilizza termini approssimativi e metaforici, tipo “risonanza” per indicare un ipotesi di sincronizzazione ideativa, non la psicologia scientifica.
Ma tornando all’episodio iniziale: quello che si è visto in un laboratorio di neurofisiologia di Parma: a un macaco è stato infilato un elettrodo in un solco cervello (area F5), l’elettrodo è stato collegato a un marchingegno che quando rileva un aumento dell’attività elettrica emette un suono, hanno notato che questo marchingegno suonava, sia che il macaco mangiasse (atto motorio finalizzato) sia che osservasse qualcuno prendere del cibo, anche se il cibo è nascoso.
L’ipotesi specchio dice in modo riduzionistico, che l’unità funzionale “singolo neurone dell’area F5” svolge attività psichica di “produzione di atto motorio” e anche “vede il suo atto motorio nell’altro come se fosse uno specchio”.
E allora? Questo dimostra che i neuroni sono in risonanza? Che tutti i neuroni si specchiano in se stessi? Che l’attività psichica è solo una questione di rispecchiamento? Chiamata con altri termini quale: empatia, imitazione neonatale, ma in quante fallacies s’incorre con questo modo di argomentare? fallacia compositionis? petitio principii? cum hoc ergo propter hoc?
Chi sostiene l’ipotesi specchio,i vede ovunque l’effetto rispecchiamento! e allora? l’area motoria è l’area dell’empatia rispecchiante? dalla corteccia motoria passa tutta la psiche umana? gli affetti rispecchianti, le emozioni rispecchianti del volto, le pulsioni rispecchianti, anche le percezioni sono rispecchianti? Come se tutto producesse un effetto specchio, e poi viene meglio se detto in inglese “effetto mirror” ! E allora è lecito chiederci a cosa serve tutta l’altra parte del cervello, se tutto passerebbe dall’area motoria che garantirebbe questo “effetto mirror”! Su questi presupposti viene tenuto un corso di laurea magistrale in psicologia, dove l’80% dei docenti non ha una laurea in psicologia, ma avremo 100 laureati in psicologia all’anno, formati in questo modo, francamente tutto questo mi pare più affine a una sorta di decadentismo culturale piuttosto che altro, e immagino sia un fenomeno accademico di decadenza culturale in materie psicologiche che non si limiti all’Ateneo di Parma.
Continuando nello spezzone audio, il ricercatore critica una cognitivista inglese dicendo: – quando parla di mirror fa seguire le diapositive del cane di Pavlov che saliva .. e dice che i neuroni mirror, … si tratta di uno dei tanti meccanismi di associazione prevalentemente visuo motorio che troviamo nel cervello, … e i mirror di faccia? (esisterebbero i neuroni specchio che sostengono la mimica facciale) allora lei dice è semplicemente lo specchio è il volto dell’altro, ….. e l’imitazione neonatale?(una ipotesi del 1977, tra l’altro recentemente falsificata in questa ricerca) ….. In mezzo alle ostetriche, al casino della sala parto, al neonato fai vedere il volto dell’adulto ed è l’unico stimolo a cui risponde, ma nell’utero non ci sono altre facce come fa?…. e lei dice è un artefatto, ma se per dimostrare la mia teoria scientifica devo negare l’evidenza empirica! lei dice l’esperienza sensori motoria di un individuo si osserva mentre si esegue un azione, direttamente o in uno specchio, o quando sono viste dagli altri, o quando siamo coinvolti in azioni sincronizzate ……
A parte il tono della lezione che sembra più un arringa a favore dei neuroni specchio, mi stupisco che un neurofisiologo non tenga in considerazione riguardo il fenomeno che avrebbe osservato in sala parto, del neonato che risponderebbe solo al volto di un adulto e non ad altro, di alcune semplici osservazioni sulla maturazione del sistema neuronale dal momento della nascita in poi.
Sappiamo che il cervello di un neonato è pieno di corpi cellulari e poche connessioni, quindi anche la funzione visiva non è formata, il neonato riuscirebbe a vedere meglio ciò che si trova a 20-25 cm dal suo viso (e al ricercatore sui neuroni mirror andrebbe chiesto: ci siamo avvicinati per fare in modo che il neonato dia segni di orientamento al nostro volto?)
Alla nascita l’acuità visiva sarebbe 40 volte più bassa che nell’adulto, come anche la sensibilità al contrasto (di norma è la funzione di alcuni recettori della retina i coni) la fovea del neonato (dove c’è maggiore concentrazione di coni, quindi minor riconoscimento dei dettagli, forma degli occhi, colore…) non è differenziata, e inizia a svilupparsi intorno al 4-5 mese, il cristallino del neonato possiede un alto grado di trasparenza e permette il passaggio di tutte le radiazioni luminose senza assorbimento o riflessione , l’area dove operano i bastoncelli (sensibili al movimento) è un po’ più debole.
Pertanto non è che per caso questo riconoscimento del volto umano sia da imputare al fatto che la conformazione dell’occhio dell’adulto riflette meglio le radiazioni luminose? Stimolo visivo a cui il neonato è più sensibile? E che di quei due pallini di luce (gli occhi) che i neonato vede, il neonato ne percepisca il movimento molto di più di quello che percepiamo noi? E che le labbra essendo più facilmente umide riflettano meglio di altre parti del viso la luce? Inoltre la percezione sarà un’integrazione fra stimoli olfattivi, gustativi… potrebbe anche essere che il neonato riconosca l’odore della madre e il sapore della sua pelle visto che c’è stato per nove mesi dentro…, che si faccia una “mappa tattile” fra la consistenza del capezzolo e le sue labbra, che la associ il tipo di rifrazione degli occhi della madre in quanto legata al piacere della nutrizione, non è per nulla detto che il tutto passi da un sistema visivo ancora immaturo e dalla specificità neuronale ipotizzata dell’area F5, quando ancora le connessioni si devono formare immaginando nell’innegabile funzione istintiva della nutrizione una empatia già consolidata fin dalla nascita sostenuta da neuroni mirror che ancora si devono collegare con altri neuroni.
Concludendo nelle ipotesi specchio dell’equipe di Parma, vi sono a mio parere troppi errori logici, che derivano da un eccessivo bisogno di affermare la propria teoria, che rendono le argomentazioni poco obiettive, poco coerenti con argomentazioni già validate da altri settori disciplinari, fra cui la psicologia cognitiva, lo sviluppo neurofisiologico neonatale ed altro, con il rischio che si entri in una sorta di decadentismo culturale che riguarda la psicologia academica di tipo comportamentisto – frenologico. E come sempre ognuno dovrebbe fare il proprio mestiere, la psicologia agli psicologi, la medicina ai medici, la pedagogia ai pedagogisti.
Ultimamente la moda sui neuroni specchio li vede implicati ovunque, confondendo i vari piani psichici e i processi da cui sono attivati, l’ultima vorrebbe che i neuroni specchio siano coinvolti nell’empatia, ma il processo è totalmente differente anche se non è escluso che i neuroni dell’area F5, in cui sarebbero presenti i neuroni specchio, si attivino in quanto neuroni aspecifici e polifunzionali.
A mio parere il primo errore viene fatto dagli sperimentatori in quando sovrappongono l’elemento neuro-attivante oggetto/soggetto.
Riassumendo il fenomeno osservato si ha sia quando il macaco mangia (attivazione F5), sia quando il macaco vede mangiare un altro macaco, ma l’area F5 sarebbe attivata dall’oggetto: nocciolina, o dalla vista del soggetto che mangia la nocciolina? Ovviamente qui trascendiamo l’analisi del setting predisponente: laboratorio sperimentale, totalmente avulso dall’ambiente naturale in cui dovrebbero vivere i macachi.
Nel suo ultimo libro uno degli sperimentatori sostiene che i neuroni specchio sono da considerarsi i “neuroni dell’empatia”, quindi opta per una delle due interpretazioni, l’area F5 sarebbe attivata non dall’oggetto “nocciolina” in mano al macaco, ma dall’osservazione: “soggetto macaco” che mangia la nocciolina, pertanto presunta identificazione.
In altre parole se uno entra in un ristorante è più facile che si identifichi con le persone che stanno mangiando piuttosto che venga attratto dal cibo che le persone stanno mangiando.
Al momento questo non è dimostrabile, non possiamo stabilire se se l’area F5 si attiverebbe dalla nocciolina in mano al macaco o dall’osservazione dell’atto motorio “mangiare la nocciolina”.
Sulla rete web sta circolando un episodio che si è verificato spontaneamente in ambiente urbano, in India, una scimmia rhesus, ha salvato un cucciolo di cane dall’attacco di un branco di cani, per poi prendersene cura e in un certo senso adottarlo: http://blog.pianetadonna.it/amotuttiglianimali/scimmia-impietosita-un-cucciolo-randagio-lo-adotta-avergli-salvato-la-vita/
Non è una caso raro altri comportamenti altruistici di animali verso altre specie di animali si sono verificati con una certa frequenza.
Una collega mi ha fatto notare come in questo caso l’empatia non fosse intraspecifica e infatti è più probabile che l’empatia sia collegata allo sviluppo di un proprio codice etico piuttosto che attivata da una identificazione automatica nei confronti dell’altro.
Pertanto è altamente improbabile che la scimmia possa identificarsi nel cucciolo di cane, specie completamente diversa, è più probabile che sia mossa da una suo “codice etico” che la spinge a salvare il cucciolo nonostante il pericolo di essere sbranata dal branco di cani, che sta correndo.
In psicologia si presume che i due livelli di sviluppo presumibilmente implicati nella presunta “empatia” nella teoria specchio, si svolgano in tempi diversi.
Per stare in relazione con la teoria specchio l’aspetto a) è attivato dall’oggetto “cibo” , mentre l’aspetto b) dal soggetto che mangia (empatia).
Riportandoci all’esempio del comportamento della scimmietta che salva il cucciolo di cane:
Pertanto è impossibile che dal punto di vista psicologico la: “fame-tensione frustrazione-sazietà-piacere” possa essere simultanea alla dinamica psichica “empatia-tensione dispiacere- comportamento etico”, è ovvio che il primo produce un comportamento che va verso la diminuzione di tensione: sazietà-piacere, mentre il secondo produce un comportamento che aumenta la tensione: la paura di essere aggrediti difendendo il cucciolo.
Quindi possiamo affermare una teoria polifunzionale che riguarda tutti i neuroni, ovvero non è la specificità dei singoli neuroni che caratterizzano la modalità psichica, in altre parole non è la specificità nel neurone specchio che caratterizza sia piacere da sazietà che empatia, secondo una duplice specifica funzione del neurone specchio.
O anche non è l’area F5 delimitata e costituita da specifici neuroni che determinerebbe sia il piacere della visione del cibo, sia il comportamento altruistico di protezione della scimmietta indiana, ma più probabilmente questo è determinato dal percorso che lo stimolo elettrico fa nel momento in cui si verifica l’attività psichica.
In questo senso i neuroni specchio possono essere considerati come degli “incroci” di diverse attività cognitive ma non dei neuroni specifici per una o l’altra attività psichica.
Concludendo i piani
a) soddisfazione di bisogno fisico (alimentazione) piano pulsionale.
b) identificazione con un altro individuo, piano affettivo.
c) comportamento di protezione materna, piano etico su base empatica.
difficilmente possono essere attivati contemporaneamente, o piacere alimentare, o identificazione proiettiva, o comportamento volitivo su base empatico-etica.
Pertanto non è sostenibile l’idea che della specificità di un singolo neurone specchio e tanto meno che abbia nella propria specificità tutte queste funzioni contemporaneamente, al massimo si può presumere che i neuroni siano polifunzionali e pertanto che possano essere parte di circuiti diversi, ma questo esclude un specificità neuronale come l’ipotesi specchio vuole far credere.
Le evidenze emerse con le ricerche sull’apprendimento e relativa modifica dei circuiti neuronali, ricerche sull’Aplisia, un mollusco con assoni neuronali così grossi di diametro da permettere la misurazione del potenziale d’azione, e nemmeno le evidenze sulla plasticità neuronale, con recuperi neurologici, evidenti anche sugli umani, in caso di lesione, non sono bastate a dare uno stop alla vecchia idea di considerare la psiche e il sistema nervoso in modo statico, immutabile, predefinito.
La moda scientifica, sui neuroni specchio, ha fatto rinascere le vecchie concezioni di localizzazione e fissità della psiche, tale moda scientifica si sta affermando anche a livello accademico, anche con argomentazioni sulla cosi detta “cognizione sociale” umana, e si avvale di tali concezioni, in cui esisterebbe, fin dalla nascita, la “caratteristica immutabile” per una determinata attività socio-cognitiva imitativa, cioè nel singolo neurone, con specifica differenziazione funzionale che nel neurone specchio è la funzione motoria.
Secondo l’ipotesi specchio, i neuroni hanno fissità funzionale, per esempio nell’area F5, la funzione motoria del neurone è sia che si esegua un movimento sia che si veda eseguire lo stesso movimento, quindi sarebbero organizzati in aree specifiche e statiche, adiacenti alla zona della fronte (aree prefrontali) in modo da organizzare una mappa cerebrale che sarebbe stata confermata anche negli uomini dalla fRMI, tecnica che però, ultimamente si è mostrata fallace a causa dei software che utilizza, in altre parole, secondo la teoria specchio la corteccia cerebrale sarebbe come una cartina geografica, con confini statici e definiti.
La funzione neuronale sarebbe quindi specifica, localizzata a livello del corpo cellulare e immutabile, quella determinata cellula potrebbe svolgere solo quella funzione, anche se si tratta di funzione doppia “esecuzione-osservazione” di una funzione motoria.
Sul versante opposto noi cognitivisti storici, abbiamo sempre sostenuto, che l’attività neuronale è mutevole (plasticità neuronale) dinamica (possono essere utilizzati percorsi neuronali diversi per una stessa funzione cognitiva), polifunzionale (dallo stesso corpo cellulare possono passare potenziali elettrici per diverse azioni psichiche), e che sono le sinapsi, quindi i collegamenti neuronali, a determinare l’attività psichica e non lo specifico neurone, tranne in rari casi, più attinenti con la risposta endocrina.
Il neonato nasce con un numero di corpi cellulari almeno 10 volte maggiore, ma meno connessi fra di loro, rispetto l’età adulta, età adulta che consideriamo come confine dello sviluppo più massiccio ed esplicito, in quanto il SNC si modifica, meno ma si modifica, fino alla fine della vita, il neonato attraverso l’esperienza già dai primi mesi consolida delle sinapsi quindi dei circuiti neuronali, e sono i percorsi fatti dal potenziale elettrico neuronale a caratterizzare il tipo di attività psichica e pertanto intangibile, e non i corpi cellulari o le attività cellulari che garantiscono solo che alcuni circuiti neuronali differiscano da altri (esempio sintesi dei mediatori sinaptici).
Anche dal punto di vista antropologico, la modalità comunicativa delle emozioni differisce da gruppo a gruppo a secondo delle abitudini sociali presenti nel gruppo d’appartenenza.
Pertanto è improbabile che possa esistere un modulo di imitazione innato basato sui neuroni specchio, come sostengono Giacomo Rizzolati, Leonardo Fogassi e Vittorio Gallese, neuroscienziati di Parma, come tra l’altro dimostrato nel maggio 2016 in questa ricerca di: Janine Oostenbroek Thomas Suddendorf Mark Nielsen Jonathan Redshaw Siobhan Kennedy-Costantini Jacqueline Davis Sally Clark Virginia Slaughter, ricerca fatta su 106 neonati testati in 4 tempi diversi (1-3-6-9 settimane di vita), in cui è stato dimostrato con un campione certamente più ampio, la casualità della risposta mimica nei neonati.
Un dettaglio non trascurabile è che la ricerca è stata fatta in Australia, dove la popolazione ha derivazioni etniche eterogenee e solo il 31% afferma di avere origini anglosassoni.
Pubblicazione citata anche in un articolo da Maurizio Rossetti
Ma allora cosa hanno trovato i teorici dei neuroni specchio?
Semplice hanno trovato quello che cercavano, la loro convinzione potrebbe averli portati a: favorire, predisporre, assemblare, in una sorta di “profezia che si autoavvera” una realtà costruita sulla base dei soliti “pregiudizi scientifici”, che proiettano il proprio stile cognitivo: stabilità, ripetibilità, definizione anatomica e funzionale di un organo, sulla realtà osservata, e questo impedisce di vedere la realtà, per quanto sia possibile osservarla con la nostra limitatezza percettiva, per quello che è.
Come indicato nel precedente articolo la misura di un singolo neurone è talmente minimale da poter fare che è lecito ritenere dubbia una qualche possibilità di misurazione, inoltre il neurone è collegato con dendriti e assoni ad altri neuroni posti vicini o distanti, è infatti possibile trovare neuroni con assoni lunghi più di un metro, quindi non è possibile distinguere un’attività prossimale da un’attività distale.
Un ulteriore incongruenza epistemica, circa la misurabilità o meno di presunti neuroni specchio, riguarda la cito-architettura della corteccia cerebrale, a livello istologico si vedono delle stratificazioni i cui neuroni differiscono nella forma in modo evidente, e molto spesso in biologia, la forma cellulare è indice di differenziazione funzionale della cellula.
Se pensiamo che l’ipotetica misurazione del “singolo” neurone, avviene su macachi mentre compiono delle azioni, la prima cosa che viene spontaneo pensare è: a quale profondità andrebbe l’elettrodo? Com’ è possibile controllare la profondità dell’elettrodo? Più o meno quale tipo di stratificazione si andrebbe a misurare? Il punto di contatto fra elettrodo e tessuto cerebrale di quanto si muove, rispetto la collocazione iniziale, in un macaco che sta compiendo un azione? E di quanto si muove rispetto l’attività di perfusione sanguinea, omeostatica, metabolica o quant’altro?
Chiaro non è credibile che si possa misurare l’attività di singoli neuroni e tanto meno che siano specifici, probabilmente l’elettrodo misura l’attività di un insieme di fenomeni fra cui il potenziale di azione di un gruppo di neuroni, attività che può partire da un neurone ma anche dal fatto che il neurone viene attivato dalla sinapsi di un altri neuroni, che possono trovarsi vicino o molto distanti, dall’elettrodo conficcato nel cervello del macaco.
Inoltre non possiamo immaginare il punto di contatto fra tessuto cerebrale ed elettrodo come se fosse immobile e fisso solo perché al macaco è stata fissata la testa in modo che non possa muoverla, la perfusione sanguinea, l’attività delle cellule gliali, il mantenimento dell’omeostasi della parte liquida (più del 85% del cervello è acqua) e altri meccanismi biochimici molto complessi, danno certamente luogo a dislocazioni del punto di contatto elettrodo-tessuto cerebrale, anche per il solo fatto che l’elettrodo ha una consistenza più rigida rispetto la consistenza molliccia del cervello.
Allora cosa sarebbe questa rilevazione di attività elettrica sia che la scimmia mangi una nocciolina sia che la veda mangiare da un’altra scimmia?
Al momento possiamo trovare una spiegazione dalla fMRI, in quanto sembra possibile rilevare, in modo non invasivo, l’aumento o la diminuzione “dell’ attività metabolica” nell’encefalo, attraverso la risonanza magnetica funzionale, questo ha permesso di costatare che la maggior parte dei neuroni è indubbiamente polifunzionale, ovvero gli stessi neuroni si attivano per formare circuiti diversi nel momento in cui il cervello svolge funzioni e coscienza di ideazione diverse.
Questo significa che il contenuto ideativo viene reso cosciente, o meno, nel momento in cui c’è una attivazione neuronale, non significa necessariamente che ideazione e attivazione di gruppi neuronali corrispondano, ovvero che l’intangibilità della mente sia sostenuta esclusivamente da processi neuro fisiologici, chi afferma questo è ancora nel campo delle convinzioni personali e non nel capo del “scientificamente accertato”, ciò è stato reso evidente dalla misurazione dell’attività cerebrale in pazienti in stato di coma, registrazione che segnalavano la completa assenza di attività cerebrale ideativa durante il coma, confrontate con i ricordi del paziente uscito dal coma, hanno dimostrato che l’attività ideativa non cessa, semplicemente non è attività di cui il paziente è consapevole in uno stato di veglia e in grado di trasmettere tramite comunicazione verbale, il neurochirurgo Eben Alexander come paziente sperimentò egli stesso questa cosa, in quanto ebbe una encefalite virale che azzerò la sua attività cerebrale, ma poi uscito dal coma ricordò una massiccia attività ideativa avvenuta durante lo stato comatoso, in cui le registrazioni elettro-encefaliche corticali risultavano assenti.
Concludendo, l’esposizione dell’ipotesi dei neuroni specchio, assomiglia più a una sorta di riduzionismo ideologico, piuttosto che a una scoperta scientifica, a mio parere si tratta solo di riduzionismo ideologico cui hanno ricondotto con artificiosi intellettualismi tutta la questione inerente le emozioni, l’empatia e quant’altro. Per quanto riguarda la realtà che ho conosciuto mi ha fatto piacere costatare che in questa costruzione teorica a mio parere totalmente errata, non sono presenti attivamente degli psicologi, nel senso che la parte giustificatoria teorica inerente la psicologia è fatta da una docente pedagogista e non da una docente psicologa, la quale sostiene con indubbia auto-referenza, che l’interdisciplinarietà in psicologia è una ricchezza.