critiche all’architettura mantovana
Dopo la metà del ventesimo secolo in Italia i manufatti architettonici hanno visto un crescere esponenziale incontrollato e speculativo, dando luogo a una devastazione ambientale senza rispondere in modo organico e sensato ai bisogni di abitazione umani.
Negli anni settanta e ottanta l’esuberanza edilizia si imponeva nel nome del profitto, guadagnandosi l’appellativo di “tempo delle grandi cementificazioni”.
L’approccio ragionieristico all’abitare umano imponeva logiche commerciali disconoscendo la logica urbana intesa come crescita armonica e pertinente, imponendo una crescita di manufatti edili, incontrollata e avulsa dal contesto ambientale e dei suoi ecosistemi, è il tempo dei geometri, delle grandi imprese edili e del profitto, è il tempo della distruzione degli ecosistemi in nome della speculazione.
Tanta barbarie edilizia ci ha lasciato edifici che come fantasmi del passato, sono simboli dell’egoismo umano e della sua follia distruttiva, cui gli architetti stanno tentando di dare risposte bizzarre conducendo l’architettura a una sorta di soggettivismo estetico.
Ancora trionfa l’egoismo umano ora diventato narcisismo, atteggiamento di molti architetti che trasferiscono dall’arte figurativa all’architettura l’approccio artistico soggettivistico con la propria visione estetica personale, ignorando il fatto che un dipinto lo si può facilmente spostare ma un edificio magari di dieci piani, non solo non lo si può spostare ma anche demolirlo diventa costoso, in altre parole viene imposta un estetica architettonica soggettiva a un numero elevato di persone che al massimo possono scegliere di passare o non passare da quel luogo per evitare di dove subire la bruttezza di tanta imponente soggettività.
A Mantova inizia a maggio il festival dell’architettura, con la pesantezza che contraddistingue l’architettura contemporanea, un’ architettura e un restauro, che sono esteticamente autoritari.
Ma questo momento di dibattito sull’architettura, potrebbe essere utilizzato per una riflessione che riguardi un architettura utile, gentile, attenta ai bisogni dei suoi fruitori umani e animali, una architettura che dialoga con la natura e non la distrugge, un architettura che non produce emarginazioni urbanistiche o cancellazioni della storia del luogo solo perché i progettisti e i restauratori non la conoscono, un architettura ecosistemica, sociale che valorizza chi la abita e non chi la costruisce, un restauro che non è cancellazione dello stile dei manufatti rinascimentali, trasformati in manufatti contemporanei nei toni e nei colori, senza dover affrontare la fatica di doverli costruire, architetture che cambiano, di fatto, il nome del loro progettista, un “Leon Battista Alberti” che diventa un “Mastro Geppetto” di turno, che però si gonfia dell’alone geniale albertiano; un restauro che non sia una compulsione igienica che evoca i tempi del fascismo, ma che sia espressione di affetto e rispetto per le origini della città.
Sempre più spesso si scambiano i piani fenomenologici:
neurologia,
psicologia,
biochimica,
pedagogia,
sociologia.
Per quanto dubiti di poter con una metafora far comprendere meglio quanto sia importante che ognuno si limiti al proprio campo di competenza, senza interferire con la psicologia, tento ugualmente.
La metafora della distribuzione di acqua e dell’acquedotto:
ora immaginiamo che un sistema per la distribuzione di acqua, sia composto sostanzialmente da: fiumi, laghi, tubazioni, acqua, chiuse, dighe e centrali di distribuzione.
Riguardo le tubazioni dobbiamo controllare che non si rompano, altrimenti c’è dispersione di acqua, le tubazioni sono il sistema nervoso, ciò di cui si occupano i neurologi.
Riguardo le chiuse e le dighe dobbiamo controllare che garantiscano una pressione uniforme di acqua, le chiuse e le dighe sono le sinapsi e la biochimica, di ciò si occupano gli psichiatri.
Riguardo l’acqua dobbiamo controllare il suo stato, che non sia ghiacciata perché bloccherebbe il fluire, che non sia bollente perché aumentando di volume aumenterebbe la pressione e romperebbe l’acquedotto in alcuni punti, che non evapori perché diminuirebbe di volume e non arriverebbe ovunque; di questo se ne occupano gli psicologi e gli psicologi psicoterapeuti.
Riguardo le modifiche del progetto dell’acquedotto quando si fanno bisogna controllare che non producano danni in termini di portata e pressione di acqua; di questo se ne occupano i pedagogisti.
Riguardo i fiumi i laghi i mari, i temporali, dobbiamo solo sapere che ci sono e come funzionano, cioè prevedere che il nostro acquedotto non abbondi o scarseggi di acqua, e di questo se ne occupano i sociologi, i quali ci possono precisare quando l’acqua è salata o dolce o inquinata o purissima…
Riguardo le centrali di distribuzione dobbiamo controllare che tutti i dispositivi funzionino ma soprattutto che quanto rilevato dai dispositivi di allarme venga correttamente interpretato, di questo se ne occupa la diagnosi.
Ora, per esempio, il problema è questo: se un dispositivo segnala un calo di pressione:
il neurologo dice è perché le tubazioni sono rotte, e ci mette anni per trovare dove sono rotte.
Lo psichiatra dice è perché ci sono dighe aperte che dovrebbero essere chiuse e ci mette anni a provare ad aprire e chiudere dighe nel tentativo di riportare la pressione al giusto livello (psicofarmaci)
Il pedagogista dice è perché ci vuole una modifica del progetto e ci mette anni a tentare delle modifiche al fine di risolvere il problema (formazione, apprendimento)
Lo psicologo dice è perché l’acqua è ghiacciata in qualche punto o è evaporata per questo c’è un calo di pressione nel sistema e ci mette anni a indagare dove l’acqua è ghiacciata o evaporata.
Il sociologo dice è perché non piove da due anni, nella zona nord ovest del Messico, ma tutti rispondono ma qui l’acqua ancora c’è basta farla confluire nell’acquedotto.
Nessuno che si chieda se il calo di pressione sia avvenuto improvvisamente, quale sia la temperatura esterna, se avviene in modo ricorrente, perché per esempio è ovvio che se avviene in modo ricorrente riguarda lo stato dell’acqua ed è un problema psicologico e non altro, le tubazioni non si rompono e aggiustano da sole e nemmeno le chiuse (qui sto forzando la metafora per dire quanto sia fallace il sistema diagnostico attuale).
Ma la cosa più irritante per uno psicologo e vedere che le tubazioni vengono rotte per scoprire la causa, le chiuse eliminate per vedere se si risolve il problema, anche se la pressione dell’acqua magari a fasi alterne si abbassa, quindi ovvio che si tratta di un problema psicologico.
Ma la cosa più inaccettabile è sentire che neurologi, psichiatri, sociologi, pedagogisti si mettano a parlare di probabili cause sullo stato dell’acqua, quando non distinguono un ghiacciolo da un te caldo, quando scambiano la memoria con l’attenzione, le emozioni con gli affetti, il pensiero onirico con la creatività, ma perché non restano su cose che conoscono senza inventarsi delle psicologie strane che già fra psicologi abbiamo un po’ di problemi a separarle e ci studiamo sopra per anni, e se la si finisse di sostituire l’incertezza caratteristica dello psicologo con facilonerie psicologiche magari in stile counselor?
La psicologia è complessa, faticosa da studiare e se applicata male distrugge l’esistenza di una persona, credetemi, come l’acqua è informe è informe anche la mente, ci vuole competenza e molta sensibilità per sentire le minime differenze di temperatura dell’acqua.
La psicologia non si può inventare né intuire né apprendere in modo perfettamente mnemonico, richiede una predisposizione all’analisi, alla coerenza teorica, all’osservazione, molta sensibilità, costanza e molta esperienza.