Yearly Archives:2018

La conoscenza dal punto di vista psicologico.

Conoscenza come esperienza.

La conoscenza e la bellezza sono esperienze che la coscienza può fare attraverso una percezione multisensoriale, e a mio parere il modo più corretto di intendere la conoscenza è: la conoscenza in senso ebraico, e cioè attraverso l’esperienza sensoriale, con l’ambiente che ci circonda, sia esso naturale o socio relazionale.

Conoscenza come esperienza con tutto il corpo

L’esperienza della bellezza: come ascoltare le note di un violino, coinvolge non solo le diverse

funzioni ideative della mente ma anche le emozioni e i sentimenti che possiamo sentire con tutto

il corpo per esempio con: il cuore, la pelle, l’intestino.

La conoscenza esige un contesto

Per questo motivo la conoscenza in quanto esperienza non può essere veicolata da nessuna forma digitale e tecnologica, la conoscenza ha bisogno della percezione integrata dei cinque sensi, vista, udito, olfatto, gusto e tatto, e di un contesto, per esempio leggere un libro in un preciso contesto permette maggiormente questo.

Egocentrismo conoscitivo

I nostri sensi sono notevolmente limitati, noi percepiamo, non penso di esagerare nel dire che percepiamo un decimo della realtà, anche se abbiamo la sensazione di percepire la realtà nella sua completezza.
La nostra mente funziona in modo egocentrico, pensiamo che quello che abbiamo percepito noi sia l’unica realtà, ma ne percepiamo una minima parte.

Influenza dell’età sulla conoscenza

Il rimanente 90% lo ricostruiamo a livello cognitivo con il nostro cervello, in base alle nostre esperienze, quindi in base alle informazioni codificate nella nostra memoria a lungo tempo, memoria di lavoro, e in base alle nostre categorie e modalità associative cognitive, cui siamo abituati, è questo il motivo per cui il “riconoscimento” per esempio di una sequenza di note, ma in generale di tutto, è più accurato nell’età avanzata, ma anche più insicuro “sarà quel brano di quel musicista?….” , in quanto lo stimolo: sequenza di note, si deve confrontare con molte più informazioni codificate nella nostra memoria a lungo termine.

Il giovane per esempio è più sicuro di aver riconosciuto esattamente ma più approssimativo

perché ha codificato in memoria meno informazioni, ha meno esperienza, le informazioni nuove

vengono confrontate con quelle preesistenti, se sono poche per il principio di autoreferenzialità

cognitiva, il giovane è più sicuro di aver riconosciuto qualcosa con esattezza, ma meno accurato.

Conoscenza come processo non dissonante

E qui abbiamo la seconda importante evidenza e cioè che la conoscenza deriva da un processo, non è come un supermercato, per così dire come un motore di ricerca dove uno va prende, consuma e getta, in una dinamica astratta di elementi, non solo separati fra di loro ma anche “ridotti” in quanto trasformati in algoritmi e pertanto privi di possibilità percettiva e contenuto multisensoriale, la conoscenza intesa dal punto di vista psicologico, non può essere:

unisensoriale/bisensoriale, decontestualizzata e avulsa da un processo.

Conoscenza e libertà di propri focus attenzionali

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E’ vero che sul monitor del pc ho la realtà simulata almeno su due canali: visivo e uditivo, ma sono due spaccati di realtà già filtrati da qualcun altro, quindi l’attenzione non è il nostro “filtro attenzionale”, non possiamo porre attenzione a elementi di realtà secondo il nostro modello cognitivo, come facciamo ora in questa stanza in cui possiamo decidere se ascoltare il conferenziere o guardare il nostro vicino, (ma in realtà percepiamo anche altro nonostante il “focus attenzionale” e questo dipende dalla nostra mente), ed è su questo percepire quel decimo di realtà che permette la nostra “rappresentazione condivisa di realtà” ed esperienza, ma se costruiamo la realtà attraverso un pc, questo significa che stiamo percependo una realtà ancora più ridotta, non penso di esagerare se parlo dell’1% di realtà percepibile con forme di trasmissione di realtà attraverso il digitale, e senza considerare le alterazioni che il linguaggio già di per se produce, su cui costruiamo la nostra esperienza di realtà, la costruzione di realtà da punto di vista psicologico ha la necessità di essere almeno in parte costatativa, almeno quel 10% lo dobbiamo avere.

Ipertecnologismo e svilimento della conoscenza

La tecnologia digitale non può in nessun modo sostituire l’esperienza e il processo di conoscenza quando incautamente lo fa, genera rappresentazioni irreali, le chiamiamo virtuali ma sono irreali, in ogni caso abbiamo bisogno di percepire almeno un decimo di realtà per poter ricostruire qualcosa di verosimile al di sotto del quale non è possibile andare, per questo motivo non possiamo delegare alla tecnologia informatica nessun processo ne di interazione ne di riconoscimento ne di ricostruzione di una realtà storica, la quale è già di per se ridotta a causa del decadimento della materia dovuto al tempo.

Conclusioni: più tutela della conoscenza più salute mentale

Custodire la storia, e pertanto un manufatto, è necessario in quanto la conoscenza è anche un processo, se non abbiamo elementi riconoscibili di “memoria sociale”, e recenti studi stanno dimostrando che nel nostro DNA sono presenti “memorie di esperienze fatte dai nostri antenati”, se non abbiamo questo, i “segmenti del DNA” non si attivano, essi si attivano solo se ci sono percezioni sensoriali corrispondenti e non deformate da algoritmi.

Per questo motivo poter restituire alle future generazioni dei pezzi di realtà storica, è necessario per poter permettere a loro processi biochimici di “riconoscimento” e “attivazione “ di parti del loro DNA che permettano a loro di stabilire i confini della loro coscienza, che anche se immateriale, potrebbe così interagire anche con elementi materici autentici percepibili con i sensi, e non deformati da astrazioni algoritmiche.

In definitiva è un modo per assicurare alla future generazioni di poter prendere contatto con il proprio “se” almeno per quella parte che riguarda l’identità sociale, e poter godere di una salute mentale che al giorno d’oggi sembra in generale un po’ compromessa.

a questo link colleghi cognitivisti oltreoceano che esprimono come me perplessità su un eccessiva invadenza della tecnologia informatica https://vimeo.com/295333263?ref=fb-share&fbclid=IwAR1uYZNEmeHQaB6O0SOIhkRLS0-AaM9-Uwa36gKIusRPvlu2pXbMIS_492A

 

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Cosa cambia nella mente dell’anziano.

Recentemente ho letto di evidenze scientifiche che affermano che anche nel cervello degli anziani esiste plasticità neuronale ovvero la capacità dei neuroni di emettere dei prolungamenti per potersi connettere con altri neuroni.

Sostanzialmente questo di dice che l’attività elettrica si propaga, magari su reti neuronali più complesse, ma non ci dice nulla del contenuto dell’ideazione, e come ho già espresso in altri articoli a mio parere il contenuto ideativo va scisso dalla presenza quantitativa di attività elettrica, cioè se c’è più massa cerebrale o più attività elettrica questo non è in relazione con la qualità ideativa.

Ma detto questo ascoltando quello che dicono gli interessati, ovvero gli anziani, senza fermarsi su immagini RMN o TAC, cosa possiamo dedurre?

Nell’anziano sono meno efficienti i sistemi sensoriali, vista udito, sensibilità al dolore, ecc…, o perlomeno hanno soglie di attivazione più alte, e questo potrebbe comportare una minore reattività, ma anche una minore interferenza con l’ideatività riflessiva in termini di capacità di concentrazione (una reattività sensoriale alta interferisce con l’attività cognitiva).

Questo ci può dire che aumenta la capacità riflessiva e diminuisce l’attività reattiva agli stimoli ambientali. Meno reattivo agli stimoli ambientali significa demente? Direi proprio di no.

Un’altra caratteristica è che aumentano i ricordi biografici e diminuisce la memoria a breve termine, quindi una maggiore efficienza della memoria a lungo termine e una minore efficienza della memoria a breve termine. Se un anziano dimentica dove ha messo le chiavi di casa ma ricorda perfettamente un episodio di 50 anni prima significa che è demente? Direi proprio di no.

Anche la capacità di discriminare i piccoli dettagli per esempio nella lettura diminuisce ma il significato globale di un testo viene più rapidamente classificato come valido o no in base ad associazioni semantiche più rapide in uno stile tipo: “intuizione” pertanto poco argomentabile in tutti i processi. Quindi se un anziano legge e scrive male le parole significa che è demente? Direi proprio di no, perché poi aggiusta con dei feedback il senso di tutto il testo e lo confronta con altre informazioni in memoria che sono quantitativamente molto più numerose che in un giovane.

Un’altra caratteristica dell’anziano è che nella “memoria di lavoro” riesce ad avere meno variabili rispetto a un giovane, questo lo rende meno efficiente in compiti operativi complessi, per esempio la pulizia accurata della propria casa, in altre parole un giovane molto rapidamente si rappresenta tutto il processo che deve fare e riesce in breve tempo a scegliere la successione operativa più veloce, l’anziano si rappresenta le funzioni simboliche ma non riesce a rappresentarsi tutta la successione operativa, in altri termini l’anziano si rappresenta l’idea di: pulire il pavimento, e lo associa con il concetto di scopa, e poi con l’idea della diversa efficienza di vari prodotti con tipi diversi di germi, per farla breve si complica la vita su un compito operativo rendendolo semantico. Quindi se un anziano è molto lento in un compito operativo significa che è demente? Ma direi proprio di no. Entrando nello specifico sono infinite le funzioni cognitive che con l’età vengono modificate e sostituite con processi ideativi che si distinguono molto da quelli che ha un bambino, un giovane o da chi ha una età più giovane, ma che il giovane non sia a conoscenza di quali sono questi processi ideativi e che l’anziano non li possa spiegare in quando sono comprensibili solo nel momento in cui vengono sperimentati non significa che non esistano.

 

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Mantova binari in città o stazioni decentralizzate?

Verso la metà dell’800 la stazione ferroviaria di Mantova venne costruita a Porto Mantovano per tutelare la sponda del lago superiore e mantenere l’accessibilità diretta, successivamente ad opera di un ingegnere inglese la stazione ferroviaria venne trasferita all’interno dell’ansa del fiume Mincio con l’idea che dovesse essere subito accessibile dal centro (idea malsana). Questa enfatizzazione della stazione ferroviaria è chiaramente figlia del suo tempo, ventesimo secolo il secolo dell’industrializzazione e delle macchine di cui il treno era un simbolo viaggiante di questo tempo e la stazione ferroviaria era il monumento più importante a ciò che era visto come progresso, mantenere questo oggi ventunesimo secolo è quanto meno anacronistico.

Ventunesimo secolo: il vessillo del progresso non è più la potenza del motore ma la tecnologia informatica, quindi ci chiediamo se per lo sviluppo di una “grande Mantova” abbia ancora senso mantenere una stazione ferroviaria centralizzata o se ha più senso predisporre 5 stazioni ferroviarie satelliti e permettere un più salubre accesso a tutte le sponde dei laghi e al Parco Naturale che li contiene.

Le linee ferroviarie potrebbero essere 1)Villaggio Eremo: linea Mantova Milano, 2)Levata: linea Mantova Modena, 3)Soave: ripristino della Mantova Peschiera (incrocio Milano Venezia) 4)Porto Mantovano: Mantova Verona, 5)Zona industriale: Mantova Monselice.

Queste zone satellite diverrebbero davvero dei piccoli centri di una “grande Mantova” la cui espansione è stata innegabilmente compromessa dalla presenza di binari che fungevano da barriere da muri fra zone, non si è mai avuto consapevolezza di come dal punto di vista psicologico, l’attesa a un passaggio a livello equivalga a una specie di confine come fra due regioni diverse.

Con una semplice applicazione su smart phone si potrebbero avere in tempo reale tutte le partenze dalle 5 stazioni satellite e i mezzi pubblici che li collegano, non siamo più nel ventesimo secolo concentrare il traffico su piazza don Leoni significa separare la zona sud di Mantova dalla zona nord, e mantenere un urbanistica che inibisce l’espansione della città.

 

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Social housing approccio regolamentativo versus responsivo.

Vorrei condividere alcune mie riflessioni su come viene insegnata la progettazione delle periferie cittadine, nei laboratori di “Costruzione dell’Architettura” dei corsi universitari di Architettura, e per evitare generalizzazioni non corrette, nello specifico: nel laboratorio il cui titolare del corso fu un docente di nome Matteo Gambaro.

Una prima cosa che mi lasciò attonita fu un certo approccio “commerciale” reso prioritario, in cui la casa popolare veniva vista con più o meno valore a secondo delle destinazioni d’uso delle varie metrature, a prescindere da chi avrebbe fatto uso dell’abitazione (portatore di disabilità o meno) il costo di costruzione doveva essere minimo, e l’aderenza alle normative esistenti rigorosa e obbligante (anche se si sa che la regolamentazione nel sistema giuridico italiano è subalterna ai principi legislativi). Per esempio era necessario un numero di parcheggi privati (2100 m2 per 140 abitanti) indipendentemente dal fatto che si trattasse di una zona di provincia o di una zona metropolitana, ben serivita da mezzi pubblici e ciclabili o meno, in altre parole la progettazione doveva aderire per metrature, ingressi ampiezza porte e finestre a delle misure standard prefissate che non tenevano conto del luogo: pianura, montagna, mare…, della posizione del sole, dei bisogni delle persone, ecc…., un condominio inattaccabile dal punto di vista regolamentativo in cui benessere e abitabilità passavano in secondo piano.

Seguendo questa procedura progettuale, non dobbiamo stupirci se poi le periferie sono piene di anonimi alveari, con appartamenti impilati uno sopra l’altro, nel modo meno costoso possibile, tutti uguali, anonimi, depressogeni, in cui la tensione è spesso alta, se questo è l’approccio progettuale non ne può che derivare un simile costruire.

Partendo dal punto di vista psicologico l’approccio è totalmente differente rispetto quello dell’architetto, in quanto lo psicologo immagina di dare risposte a problemi e non di ignorarli amplificando un approccio regolamentativo.

Una prima domanda che lo psicologo si fa è: quali sono le caratteristiche delle persone che fanno richiesta di un alloggio popolare, e la regione Lombardia fornisce un dato il 12% sono anziani e disabili, ma prevedere un 12 % di alloggi specifici per anziani e disabili non è regolamentato quindi può essere ignorato.

Un’altra domanda che lo psicologo si fa è: quali sono i bisogni delle famiglie con bimbi, trova dei dati in cui emerge che sono carenti gli asili nido, gli spazi per il gioco protetti, spazi di condivisione per poter sorvegliare i bimbi, quindi lo psicologo immagina una grande area verde all’interno di un edificio tipo corte, per i ragazzi e i bambini con finestre facilmente accessibili ai genitori per poter vedere cosa stia succedendo ai loro figli, ma questo non è regolamentato mentre i parcheggi si, e allora che fare? Mettere delle griglie da dove esce il gas di scarico delle automobili vicino allo spazio giochi? Perché poi anche il rapporto fra terreno su cui vi è il costruito e non, anche quello va rispettato, lo dice la regola “x”.

Poi l’accessibilità ai disabili da tutti i punti d’accesso, ma poi si tolgono metri quadri magari a un ripostiglio, certamente più commerciabile? (e non si capisce a chi dovrebbe essere venduta una casa popolare)cosa che dal punto di vista di un architetto parrebbe inaccettabile.

Ora per non farla troppo lunga, una cosa salta alla mente, quando si progettano gli spazi privati di committenti, i bisogni di chi andrà ad abitarci sono al primo posto e l’approccio responsivo è d’obbligo, quando si progetta edilizia popolare al primo posto ci sono regolamenti che poi rendono l’abitare più insano almeno dal punto di vista psicologico, ma allora tutto questo parlare di “ricostruire le periferie” non è un po’ ipocrita?

Chiaro che considerare aspetti psicologici nel costruire il social housing potrebbe migliorare di molto le dinamiche relazionali nelle periferie, ma chiaro anche che questo non accadrà MAI fin quando il progettista (architetto) non abbandonerà quell’aurea di onnipotenza tecnico-regolamentativa che tanto lo protegge forse da contestazioni giuridico opportunistiche  ma anche poco offre a chi ha la necessità di abitabilità responsive e non di cubi abitativi perfettamente a norma di regolamento (perché le leggi sono altra cosa), magari un regolamento avulso dalla situazione contingente ma se lo dice il regolamento edilizio lo si fa senza chiedersi nulla? Attenzione perché poi eventualmente se il Magistrato di turno chiederà, chiederà conto delle responsabilità disattese e non dell’applicazione intransigente di regolamenti.

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Università: sedi provinciali e sado-narcisismo?

Spesso si sente dire che i giovani laureati non sono in grado di produrre servizi e beni utili, quindi i neolaureati non trovano lavoro, ma chiediamoci il perché.

 

E’ evidente che i giovani hanno la loro responsabilità, nel volere tutto al minimo costo e sforzo personale nel fare gioco di squadra fra di loro per ottenere questo, nel fare gioco di squadra anche in modo molto aggressivo per emarginare chi avendo il diritto di esserCI, secondo loro non potrà contribuire a un risultato certo veloce e al minimo costo e per manipolare chi può essere occasionalmente utile in un “usa e getta” umano che fa rabbrividire, il tutto in un gioco di apparenze in cui la cornice ha più importanza del contenuto.

 

Ma ora passiamo ai docenti, dopo aver determinato con insostenibili richieste di lavori di gruppo, pur conoscendo l’alto livello di competitività individuale degli studenti (ottenere il voto più alto) da loro stessi determinato (vantaggi acquisibili per merito) si estraniano dalle vicende relazionali del “livello a loro più basso” (gruppo studenti) giustificando ogni violenza relazionale e psicologica, e già … perché il cosi detto bullismo, non nasce dal nulla ma viene predisposto dopo un lungo processo dai docenti stessi, in quanto sono presenti ai fatti di aggressività sociale sull’eventuale capro espiatorio di turno, ma li ignorano (quando non li condividono con il non verbale… sorrisi di compiacimento) e ignorandoli li giustificano.

 

Se qualche collega aveva dubbi sul fatto che narcisismo e sadismo viaggiano di pari passo, vada a farsi un giretto in qualche aula universitaria e vedendo comprenderà subito.

 

In questo clima già di per se molto pesante spesso i docenti agiscono la solita dissonanza cognitiva, che consiste nel far girare a vuoto in fantomatici laboratori che sembrano mercati, per la rumorosià,  i loro studenti facendogli credere che la complessità della loro materia richiede molto ma molto impegno alla fine, nessuno studente si darà da solo del cretino per aver speso inutilmente tante risorse proprie, al fine di poter passare un esame il cui contenuto non è ancora chiaro ma di certo il valore è pari alle risorse tempo che lui ha messo, quindi attribuisce un valore alto al nulla che gli ha venduto il docente.

 

Alla fine di tot esami si sentirà un super eroe che come in una partita della playStation ha eliminato avversari (altri studenti) ha conquistato crediti formativi in un difficile labirinto in cui a un certo punto ha trovato l’uscita, anche se in realtà era il docente che dopo un po’ gli apriva la porta.

 

Da tutto ciò che ne può uscire? Laureati preparati? Docenti socratici che in un umile scambio di vedute scambiano saperi? Personalità etiche e responsabili che possono agire in modo professionale? Un gruppo di persone che in centri di potere, saprà discernere decisioni opportune per il bene collettivo? Difficile immaginare che da un simile contesto competitivo e ipocrita possa emergere tutto questo, ma possiamo ingenuamente sperare che sarà così, come nel paese delle meraviglie dove la fabulazione di una realtà immaginaria si impone sulle realtà vera.

 

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Architetti tuttologi che decidono di questioni psicologiche.

E’ noto che ultimamente gli architetti sembrino un po’ come i medici, dei tuttologi che non si fanno alcuno scrupolo nel chiedere a chi magari abbia più competenze di loro.

Vorrei però contestualizzare ed esemplificare questa mia affermazione in modo che possa essere più comprensibile.

Mi è giunta notizia che ci sono delle scuole materne in cui i bagni per i bambini sono senza porte, ho verificato sul web se la cosa potesse essere vera e in effetti la cosa è stata confermata “le porte sono pericolose” il post è datato gennaio 2013, quindi 5 anni fa, spero che questo non significhi che da 5 anni sia considerato normale non mettere le porte nei bagni per i bambini delle materne!

in effetti questo tipo di porta può non essere la scelta migliore perché è fissa, nel caso un bambino inciampi sui propri stessi piedi, potrebbe lesionarsi, e in effetti la normativa del 1975 parla di porte scorrevoli, e quella del 1992 mi sembra che confermi.

Porte scorrevoli possibile non ci sia una soluzione architettonica più adeguata che eliminare le porte? Magari porte tipo oldwest che non sono proprio un’invenzione recentissima introvabile sul mercato. Si tratta di porte che a una minima spinta si spostano, magari se opportunamente imbottite il bambino che inciampasse sui suoi stessi passi, non si farebbe male a causa della porte ma a causa della durezza del pavimento, che volendo si può imbottire anche quello?

Ma perché insistere sul fatto che ci possono essere soluzioni architettoniche alternative all’eliminare le porte?

Ora io posso capire che verso le teorie freudiane ci sia stata una certa squalificazione  a seguito di seguaci della teoria che possono aver affermato cose insostenibili, ma questo non significa che “assieme all’acqua sporca si debba buttare il bambino”, la validità delle teorie psicoanalitiche sullo sviluppo libidico già dai primi anni di vita, ha avuto numerose conferme in campo psico diagnostico, pertanto, in attesa che si dimostri in modo incontrovertibile la sede neurologica dell’inconscio, io le porte dei bagni alle materne le terrei.

Vorrei ricordare anche che nel 2014, quindi non nel secolo scorso, alla luce delle recenti scoperte sulle neuro scienze nel libro:

Principi di neuroscienze. Eric R. Kandel, (che non è proprio uno qualunque ha ricevuto anche un premio nobel su studi che riguardano la memoria) ha affermato che le più recenti evidenze neuro scientifiche spiegano ampiamente la teoria psicoanalitica, che con Freud era ancora da considerare un intuizione non ancora dimostrata.

Detto questo però, capisco che gli architetti non abbiano competenze così sofisticate da comprendere la nocività psicoevolutiva, che può esserci, (per un bambino della materna),  nell’abolire le porte dei bagni magari per ragioni di sicurezza, quello che non comprendo però è perché gli architetti con tanta disinvoltura passino da campi a loro noti: materiali, statica, costruzione, a campi a loro non noti: psicologia del colore, benessere, abolizione di porte nelle materne… ecc.

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In difesa della democrazia

E’ inaccettabile l’ingerenza dei mercati internazionali, attraverso ricatti borsistici (spread) sulla volontà politica nazionale del popolo italiano.

Consentire che il Garante della Costituzione Italiana: il Presidente della Repubblica italiana, permetta che il potere politico sia subalterno a quello economico attraverso ostruzionismi sulla scelta del Ministro dell’Economia, da parte di un governo democraticamente eletto, è per noi cittadini un suicidio della  politica.

Non è momento in cui gli intellettuali possono permettersi di essere pigri e avari di argomentazioni comprensibili a tutti, che garantiscano una presa di coscienza di quello che sta succedendo a livello politico.

Come psicologa posso dire che sul web, sui media, e nella politica locale, è presente una manipolazione psicologica massiva senza precedenti, tipica dei periodi storici pre dittatoriali.

Il nostro ordine professionale dovrebbe prendere posizione e fare chiarezza fra la vera psicologia che segue e cerca la verità delle cose, da certa pseudo psicologia manipolativa molto presente nei sistemi bancari, commerciali, talvolta in quelli universitari, fra manager e responsabili di settore, questa non è psicologia è semplicemente un modo elegante per truffare il prossimo.

Anche alcuni rappresentanti delle religioni utilizzano manipolazioni psicologiche che sembra conducano a un unico obiettivo, impoverire tutta la popolazione mondiale per renderla più ricattabile e pertanto ubbidiente.

La moneta unica ha ridotto il valore del lavoro del 300% in quanto i compensi lavorativi sono aumentati di risibili percentuali mentre i prezzi e la tassazione sono lievitati in modo esponenziale, questo è un modo per creare povertà e non ricchezza.

Qualsiasi sistema sociale che pretenda obbedienza, anche se imposta con la manipolazione psicologica e non con la forza militare, con il ricatto economico e non con il ricatto di toglierti la vita, con effetti “gaslighting” nei finti dibattiti televisivi con intellettuali di spessore al fine di screditarli pubblicamente è un sistema sociale che priva la libertà individuale, è una “assassinio della verità”, l’eliminazione della verità conduce solo al disordine e alla confusione, spersonalizza l’individuo rendendolo oggetto e non soggetto, magari:“oggetto produttivo” esattamente come un islamico concepisce la femmina, un oggetto che produce un altro se stesso che sarà sua proprietà, come se fosse un oggetto!

Non stupisce che tale prevalenza del potere economico sul potere politico sia concretamente sostenuto dalla religione, dalle politiche immigratorie che ostacolano l’evoluzione sociale nei paesi con organizzazioni di risorse a proprio danno, dai mercati internazionali, dai vertici europei, e da un enorme numero di politici non eletti democraticamente, sono tutte realtà di gruppi di individui, che si riuniscono con l’intenzione di sfruttare le persone che non appartengono al loro gruppo, non sono persone sane mentalmente che si orientano a una collaborazione sociale finalizzata all’ evoluzione di tutti, per quanto lo si voglia disconoscere il narcisismo da cui deriva il sadismo è una disfunzione sociopsicologica, non un tipo di personalità fra tanti tipi di personalità.

 

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Mantova e Architettura riflessioni sulla bellezza.

Quando si parla di bellezza di cosa si parla?

La bellezza a mio parere è una qualità spirituale che può estrinsecarsi in un manufatto concreto tangibile, ma non può mai essere una qualità materiale.

La bellezza non occupa, non distrugge, non ha bisogno di fare marketing di se stessa, non è narcisistica, in un certo senso ha qualità etiche se per etica si intende una specie di armonia come un insieme di accordi musicali che non producono dissonanze, la bellezza non è regolamentativa, necessita di una libertà piena che non è informale, debosciata, ma “etica” armonica.

La bellezza è come un fiore che sboccia su una gronda, incurante del contesto, se il contesto è brutto, e attira spontaneamente a se l’attenzione di tutti, non ha bisogno di avere cornici in cui viene decantata, attira spontaneamente, non ha bisogno di strategie comunicative per essere riconosciuta, non ha bisogno di festival dell’architettura.

La bellezza non dialoga con la bruttezza, ma nemmeno la distrugge, semplicemente la ignora per non farsi fagocitare dalla sua prepotenza.

La bellezza architettonica unisce il bello all’utile, necessita di un atteggiamento di ascolto, di cura, di immaginazione circa le persone che utilizzeranno quegli spazi, di rispetto, di amore e di verità.

La bellezza architettonica non può mai essere una linea che separa, ma solo linee che uniscono, confini che proteggono ma non separano, confini che predispongono contatti sociali ma non li obbligano, confini che non separano il cielo dalla terra, ma permettono “alla terra” di scegliere liberamente se esporsi o meno al cielo.

La bellezza architettonica non può essere affaristica, il business architettonico ha creato spazi orrendi di cementificazione che sono esattamente il contrario della bellezza.

La bellezza non può essere una prigione di cemento armato, da cui espellere la natura, piante fiori animali, perché la natura è la più grande e principale maestra di bellezza, non esiste migliore docente di bellezza di una natura che si estrinseca nello spazio e nel concreto tangibile, parlando allo spirito senza usare parole.

La bellezza architettonica non si autoesalta nelle archistar, e non può derivare dall’applicazione di norme avulse dagli obiettivi per cui sono nate, la bellezza non è aggressiva, non è militare, non è prepotente, ne invadente, non è autoritaria ma nemmeno lassa, è nell’etica dell’ascolto e del rispetto che si trova la bellezza, la bellezza è libertà senza disordine.

Ma……M.A. Mantova Architettura quali messaggi invece veicola? Certamente non condivide in mio punto di vista…..

Pensiero critico alla riscossa.

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Un cubo di specchi

Giornata piovosa, anche per oggi condivido le mie riflessioni mattutine su cosa potrebbe essere la realtà e come essa possa essere senza tempo e senza spazio.

Immaginiamo che il filamento di dna in cui è contenuto tutto l’universo vivente, sia all’interno di un cubo fatto di specchi che lo riflettono in modo infinito, il cubo di specchi è la nostra costruzione mentale di tempo e spazio, più o meno condivisa con altre identità.

La nostra mente non percepisce tutto ciò che è riflesso in modo infinito, ma solo ciò che è in relazione con la propria “identità energetica”, il resto è come se fosse spento. Inoltre la nostra mente non percepisce tutto l’infinito che è in relazione con la propria “identità energetica” ma solo ciò che è in relazione con la cornice spazio temporale che essa stessa ha costruito, quindi l’istante che stiamo vivendo di volta in volta.

Ora che la nostra mente veda il riflesso della realtà, è stato detto da Platone (forse non proprio così ma il concetto di fondo è suo), che la nostra mente sia capace di selezionare ciò che serve in un determinato istante è stato dimostrato dal cognitivismo (il primo cognitivismo non le successive interpretazioni che a mio parere distorcono enormemente il modello teorico) e che la realtà non sia un punto né un istante non saprei ma forse anche questo concettualmente qualcuno lo avrà detto.

La novità è che a mio parere esiste una permanenza identitaria costituita da sub particelle energetiche che possono esprimersi o meno a secondo della “cornice” che una identità e un insieme di identità, costruiscono per permettere che la coscienza faccia esperienza di se e del mondo.

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L’universo nel DNA spazzatura.

Oggi vorrei condividere un’altra riflessione sull’ipotesi che il tempo e lo spazio siano una costruzione della nostra mente e quindi che in realtà non esistano.

L’ipotesi prevede che esista una condizione in cui le “unità energetiche” esistano all’interno di un universo che ignori la movimentazione astronomica, esperienza da cui deriva la nostra “costruzione mentale del tempo”.

Una condizione di questo tipo (un concentrato senza tempo e spazio) potrebbe essere quanto viene studiato dalla fisica sub atomica, la quale da origine a unità elementari biologiche, i cosi detti filamenti di dna.

Dalla sperimentazione biologica, derivano due evidenze,

  1. il dna umano è composta per il 99% da dna condiviso con tutte le altre specie animali, e vegetali, ci differenzia solo 1-2% di dna, in questo 2% c’è la differenziazione di otto miliardi di individui (popolazione mondiale).
  2. Il dna utile sarebbe il 10% e il rimanente 90% sarebbe il cosi detto dna spazzatura, (inutile per l’espressione genetica di un individuo).

Da queste evidenze emergerebbe che solo una minima parte del dna cellulare è utile nell’espressione materica ( espressione sensoriale-tangibile delle unità energetiche) quindi potremmo ipotizzare che il rimanente dna sia l’espressione di tutto l’universo compresa forse, l’espressione energetica immateriale.

A questo punto se immaginiamo che tutto l’esistente sia in assenza di spazio e tempo e sia esprimibile in un piccolissimo punto, in cui ci siamo anche noi (permanenza dell’identità energetica) possiamo facilmente intuire che ogni filamento di dna in realtà sia originato dalla moltiplicazione di tanti filamenti uguali, in altre parole la costruzione mentale di una cornice spazio temporale da luogo a un’altra illusione e cioè che la moltiplicazione infinita di unità prive di spazio e tempo e che sia costitutiva di una realtà tangibile molto diversificata, la realtà tangibile è una delle esperienze della coscienza, non è che non esiste, ma è la nostra mente che ha la necessità di definire questa esperienza in uno spazio e in un tempo che però, ripeto, non esistono, sono costruite dall’espressione energetica della nostra identità energetica mentale.

Per concludere il cosi detto 90% di dna spazzatura, così spazzatura non sarebbe, ma ci direbbe che un 90% è costitutivo dell’universo di tutte le esperienze (senza tempo quindi coesistono) di tutte le identità energetiche (persone animali vegetali ecc..) l’unico aspetto che ancora non mi è chiaro resta sempre lo stesso, esiste una permanenza identitaria oppure si tratta solo di una esperienza identitaria pertanto la nostra soggettività è destinata a perdersi.

La scienza empirica spiega immaginando che questa identità si perda, il sapere spirituale spiega immaginando che esista una permanenza identitaria, io personalmente penso che esista una permanenza identitaria associata alla responsabilità e a una ineludibile “circostanza” etica, a mio parere è la questione etica che inizializza verso la soggettività, in altre parole l’dentità è possibile all’interno di una dimensione etica, che sarebbe presente in tutto (animali, piante ecc… ) senza una dimensione etica non sarebbe possibile nessuna soggettività e pertanto nessuna identità (o personalità), ma la dimensione etica richiede che ci sia “permanenza” (che ci sia un al di la) La dimensione etica la possiamo sperimentare tutti per questo motivo non possiamo dire che non esiste, pertanto sarei più propensa pensare che è più facile che esista una permanenza identitaria, piuttosto che non esista. Penso anche che la dimensione etica sia in relazione con la dimensione estetica, in un continuo e incessante dibattito fra soggettività e universalità. L’esperienza estetica ha bisogno sia dell’universalità insita nella natura sia della soggettività diversificante della permanenza identitaria, ma su questo forse scriverò più avanti qualcosa in questo blog.

http://www.studiopsicologiamantova.it/wp/2018/05/13/sullo-spazio-e-sul-tempo/

Habit theory, frammenti in itinere.

identità energetica

 

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