L’uso prolungato di psicofarmaci è in grado di modificare l’espressione genetica del circuito neuronale su cui sono situati i recettori affini allo psicofarmaco (plasticità neuronale), ma questa è terapia o gioco di compiacenze?
fonte dati (immagini) scientifici: http://xfiles.farmacia.uniba.it/farmol/didattica_web/64/argomenti/Antidepressivi.pdf
La variazione innaturale, (somministrazione di psicofarmaci), a valle (sinapsi) delle concentrazioni di neurotrasmettitori da luogo a delle modificazioni a monte (corpo cellulare) di tipo genetico, questo avviene con il trasporto assonale prima e poi a livello del corpo cellulare tramite la “regolazione dei meccanismi di trasduzione a livello citoplasmatico”
possiamo fare un esempio con gli effetti degli antidepressivi dopo somministrazione cronica
ma non solo abbiamo una modificazione a livello dell’espressione genetica della cellula neuronale, ma abbiamo anche una modificazione: a livello di tutti i circuiti neuronali in cui i recettori sono affini al tal psicofarmaco
questo è semplicemente un adattamento biologico del cervello alla presenza (introdotta dall’esterno) continuativa di una sostanza simile a quelle che produce esso stesso.
Ciò da luogo, nel soggetto che assume psicofarmaci, a un ovvia percezione di cambiamento, ora semplicemente il prescrittore/medico, dello psicofarmaco deve far in modo che il soggetto in cura attribuisca un giudizio positivo al cambiamento percepito.
Questo può accadere facilmente all’interno di un rapporto di fiducia (compliance) ma se volessimo essere obbiettivi sugli effetti terapeutici dello psicofarmaco dovremmo chiedere un parere alle persone che sono in relazione con il soggetto e non al soggetto stesso che per “dissonanza cognitiva” non può che attribuire un effetto terapeutico all’uso cronico di psicofarmaci.